L’inizio di giugno non corrisponde soltanto all’inizio dell’oratorio feriale, ma segna anche il momento, atteso da tutta la comunità diocesana, dell’ordinazione presbiterale dei diaconi al VI anno di Teologia.
I candidati al sacerdozio del 9 giugno 2012 solo coloro che caratterizzarono le prime settimane di episcopato del card. Scola con la loro ordinazione diaconale. Uno dei diaconi ha avuto pure l’onore di cantare il Vangelo sul palco di Bresso e diversi suoi compagni di Seminario hanno distribuito la Comunione durante la medesima Messa di Benedetto XVI.
Il 9 giugno è quindi arrivato il grande giorno, in cui 21 diaconi diocesano e un frate francescano (nativo però di Melzo) hanno giurato fedeltà all’arcivescovo di Milano e hanno ricevuto da esso l’imposizione delle mani, che li rende “partecipi sacramentalmente dell’unico sacerdozio di Cristo in qualità di cooperatori dell’ordine episcopale”. Il card. Scola ha una parola per ciascuno e tutti guarda con affetto e riconoscenza. “Carissimi ordinandi, vi siamo grati per la scelta coraggiosa del presbiterato, lo siamo a tutti i vostri cari che continueranno a prendersi cura delle vostre persone rispettando il vostro ministero. Diciamo la nostra gratitudine alle persone, alle parrocchie da cui provenite e quelle nelle quali già state svolgendo il vostro ministero, alle comunità cristiane che vi hanno proposto la vita stessa come vocazione su cui è fiorita poi la vostra scelta. Ed il nostro grazie va soprattutto al Cardinal Dionigi Tettamanzi col quale avete dato inizio a questo prezioso cammino, va alla comunità del Seminario, al Rettore, ai Superiori e ai Docenti che lungo tutti questi anni vi hanno accompagnato fino a farsi garanti presso l’Arcivescovo e tutto il popolo di Dio del decisivo passo che ora state compiendo”.
Al clero è rivolto un appello all’umiltà, necessario in tempi in cui diversi sacerdoti travalicano i propri compiti ignorando le direttive dei superiori o aderendo a dottrine border-line: “Noi non siamo la luce, né siamo in grado di produrla: possiamo solo rifletterla per offrirla a tutti”. Il sacerdote non deve illudersi di essere fonte a se stesso!
Riguardo ai rapporti da instaurare col laicato, Scola riprende, come più volte nel discorso, il prezioso insegnamento papale, espresso in quello stesso Duomo appena una settimana prima. “Lo stesso Santo Padre ha messo poi in evidenza le due condizioni essenziali perché la nostra vita diventi luce per il mondo: l’unione con Cristo e il dono totale di sé perché cresca la comunione. Uomini di preghiera e uomini di comunione e, per questo, uomini per il bene del mondo, anche dell’affascinante e travagliato mondo post-moderno di oggi. Sono questi i collaboratori che Dio vuole per «guidare il popolo cristiano con il ministero dei sacerdoti» (Orazione all’inizio dell’Assemblea Liturgica)”. Il sacerdote come punto di sintesi spirituale della comunità è una figura che permane, perchè le responsabilità affidate ai laici hanno bisogno comunque del vaglio della Chiesa e il prete è chiamato a vigilare, ma anche ad accompagnare con simpatia ciò che si dimostra ortodosso.
Al termine della lunga cerimonia, l’arcivescovo ha voluto nuovamente ripetere le parole pronunciate da Benedetto XVI nel corso della veglia di sabato 2 giugno a Bresso: ha cioè esortato le famiglie a non fermarsi al vino “normale” dell’istintività umana, ma di aggiungere il vino nuovo di un matrimonio secondo i desideri di Dio. Solo famiglie così consolidate saranno in grado di guidare i figli verso il necessario discernimento vocazionale. In proposito, non manca un invito a tutti i giovani e le giovani presenti tra le navate a parlare senza esitazioni alle proprie guide spirituali di un’eventuale chiamata alla vita consacrata, sull’esempio dei 22 “coraggiosi” che quella mattina hanno testimoniato il proprio valore di uomini controcorrente donandosi completamente a Dio e alla sua Chiesa.
Rubrica a cura di Michele Brambilla