Venerdì 31 agosto è venuto a mancare il card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. E’ diventato nel tempo una figura controversa per via di alcune affermazioni in materia disciplinare (celibato) e di bioetica (preservativo, testamento biologico ecc…) non in linea con quanto il Magistero petrino andava approfondendo. Numerosi fedeli “progressisti” e non credenti hanno preso di conseguenza Martini come proprio guru a la page.
Il funerale di una figura dalla personalità così “forte”, perlomeno sui media, si presentava quindi come un momento decisamente particolare.
Il card. Scola nell’omelia delle esequie solenni, officiate il 1 settembre in Duomo, trasforma il tributo, anche civile, della città al predecessore innanzitutto in una considerevole catechesi sui novissimi. “La lunga vita del Cardinal Martini è specchio trasparente di questa perseveranza, anche nella prova della malattia e della morte. Ed ora Gesù assicura lui e noi con lui: “Io faccio con te, come il Padre ha fatto con me”. Per lui è pronto un regno come quello che il Padre ha disposto per il Figlio Suo, l’Amato. Il fatto che non sia un luogo fisico, a nostra misura, non ci autorizza a ridurre il paradiso ad una favola. Il Cardinal Martini, che ha annunciato e studiato la Risurrezione, l’ha più volte sottolineato. Con parole tanto semplici quanto potenti San Paolo ne coglie la natura quando scrive: «Per sempre saremo con il Signore» (1Ts 4, 17). Il nostro Cardinale Carlo Maria, tanto amato, non si è quindi dileguato in un cielo remoto e inaccessibile”.
I dubbi dei non credenti, in cui spesso Martini si è immedesimato, vengono quindi capovolti nelle certezze della Tradizione. “Caro Padre, noi ora, con i molti che ci seguono attraverso i mezzi di comunicazione, ti facciamo corona. E lo facciamo perché nella luce del Risorto, garante del tuo compiuto destino, sappiamo dove sei. Sei nella vita piena, sei con noi. Questa è la nostra speranza certa. Non siamo qui per il tuo passato, ma per il tuo presente e per il nostro futuro”. La Risurrezione di Cristo è la garanzia che l’uomo, dopo la morte, non evade nel nulla, ma ritorna a Colui che lo ha creato per un destino buono. Da lassù, il defunto continua ad essere presente. “Sono solo andato nella stanza accanto”, ci ripetevamo noi di Alleanza Cattolica, al funerale del nostro Enzo Peserico (4 gennaio 2008).
Il rituale dei funerali per i vescovi prevede come letture due brani della Passione di Cristo da evangelisti diversi, ed una terza pagina di Vangelo come pericope evangelica vera e propria. Il card. Scola fa quindi riferimento alla liturgia stessa, quando passa ad affrontare direttamente la questione del dubbio metodico moderno. “«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46). Il terribile interrogativo di Gesù sulla croce è in realtà implorante preghiera. Estremo abbandono al disegno del Padre. E qual è questo disegno? Che il Crocifisso incorpori in Sé tutto il dolore degli uomini. Il Figlio di Dio ha assunto tutto dell’uomo, tranne il peccato, a tal punto che la Sua drammatica invocazione finale abbraccia l’umano grido di orrore di fronte alla morte per placarlo. (…) Niente e nessuno ci può strappare questa consolante verità. Neppure la dura, sarcastica obiezione di Adorno che liquida la preghiera di Rilke come «un miserevole inganno con cui si cerca di nascondere il fatto che gli uomini, ormai, crepano e basta» (T. W Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1988, 284)”. Dio non abbandona l’uomo nel bisogno, ma “è veramente vicino a ciascun uomo, qualunque sia la situazione in cui versa, la posizione del suo cuore, l’orientamento della sua ragione, l’energia della sua azione”. Può estraniarsene solo chi caparbiamente Lo rifiuta, come dice S. Ambrogio: “«Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole… Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza dell’eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare» (Ambrogio, Commento al Salmo 118, Nn. 12. 13-14; CSEL 62, 258-259)”. Il Salmo 118 è quello scelto da Martini per la sua epigrafe tombale, “Lampada per i miei passi è la tua Parola”.
Scola riesce a volgere nella direzione dell’Anno della Fede perfino il funerale di un teologo controverso: “Affidare al Padre questo amato Pastore significa assumersi fino in fondo la responsabilità di credere e di testimoniare il bene della fede a tutti”. Torna anche il richiamo alla “pluriformità”, che deve svilupparsi solo nell’unità della Chiesa per essere sana. Un avviso necessario a chi, come certi “fan” del defunto, la intende come “anarchia” nella Chiesa.
Rubrica a cura di Michele Brambilla.