Padre Robert Romulus Popa, classe 1981, sacerdote uxorato (cioè con moglie) della Chiesa rumena unita con Roma, è dal 2008 cappellano della comunità romena greco-cattolica di Milano. Recentemente ha partecipato ad una trasmissione radiofonica con Marco Invernizzi riguardante il passato recente della Romania, contraddistinto da una feroce dittatura comunista (1948-89). Venerdì 10 maggio, alla vigilia della visita del patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli a Milano, siamo andati ad intervistare padre Robert in prossimità della sua abitazione, la canonica della basilica di S. Ambrogio. Per conoscere più da vicino il mondo dei cattolici di Rito bizantino che vivono a Milano, testimoniando già oggi l’unità dei credenti nell’unica Chiesa cattolica.
MB: Padre Robert, come ci si sente ad essere un sacerdote cattolico di Rito bizantino in un’arcidiocesi che ha essa stessa un rito particolare, quello ambrosiano, spesso messo in correlazione con la tradizione orientale? Cosa significa il suo essere qui, a Milano, pastore di una comunità etnica in crescita?
PR: Il mio ministero si svolge tramite la Cappellania generale dei migranti, coordinata da don Giancarlo Quadri. La cappellania romena è stata istituita il 1 novembre 2008 (festa di Ognissanti) partendo dalla necessità di offrire un servizio liturgico ai tanti migranti romeni. Bisogna dire, però, che a Milano la presenza della Chiesa romena unita non è una novità: già prima del 1989 era attivo in diocesi padre Mircea Clinetl, molto noto perché insegnava teologia orientale nelle università milanesi.
MB: La sua terra d’origine, la Romania, è universalmente nota per aver subito, a partire dal 1945, uno dei più feroci regimi comunisti, come rivela l’opera di mons. Ioan Ploscaru Catene e terrore (Dehoniane 2013). In tale contesto difficile, come nacque la sua vocazione?
PR: La mia vocazione sacerdotale è nata proprio dalla testimonianza dei martiri sotto il comunismo. Volevo professare Gesù Cristo in un Chiesa che è espressione particolare della sola Chiesa, la cattolica. Di fatto (sono nato nel 1981), sono stato ordinato dopo il 1990. Sono entrato in seminario per verificare la vocazione e il cammino mi ha progressivamente aperto alla luce dello Spirito. Ho seguito i corsi propedeutici per 2 anni in Romania, la 3^, la 4^ e la 5^ teologia le ho invece vissute nel Seminario Arcivescovile di Milano, nella sede di Venegono Inferiore. Il biennio specialistico l’ho fatto alla S. Croce a Roma, abitando al Collegio Pio Romeno.
MB: Milano è S. Ambrogio, dottore della “Chiesa indivisa”, ma anche S. Carlo Borromeo, il restauratore della disciplina ecclesiastica nella Chiesa latina, che nella sua riforma ha sottolineato fortemente la norma sul celibato dei preti. La sua è sicuramente una situazione familiare “insolita” per noi latini. Cosa può dire il Concilio di Trento, con la sua etica del “cuore indiviso” (cioè tutto per Dio), ad un prete bizantino uxorato e cosa, invece, può insegnare la tradizione orientale ad un Occidente spesso scosso, ultimamente, da correnti di pensiero che valutano la possibilità di matrimonio per i preti come via per una desacralizzazione del ruolo sacerdotale?
PR: La Chiesa bisogna osservarla con sguardo universale. Essa vive delle due tradizioni venerabili, Oriente ed Occidente. Se c’è una pecca nell’Occidente è di analizzare tutto con uno sguardo rigidamente “latino”. Il Concilio Vaticano II (esistono oggi due codici di diritto canonico, il Codex Iuris Canonici valido per l’Occidente ed il Codex Iuris Canonici Ecclesiarum Orientalium) non prelude ad un desacralizzazione del prete. Per le Chiese orientali unite a Roma non c’è il “prete sposato”, ma l’uomo coniugato che viene ammesso agli ordini sacri. Il sacerdozio cattolico è uno, non uno di “serie A” ed uno di “serie B”. In Oriente quella del sacerdote già sposato è una possibilità che esiste fin dall’età apostolica: il prete orientale può scegliere se rimanere celibe o farsi ordinare da coniugato. In Occidente quest’ultima possibilità è andata sparendo già a partire dal VI secolo. Anche l’uxorato ha il cuore indiviso, perchè anche il matrimonio si fa in Cristo ed è via alla santità.
MB: Quali sono le attività pastorali connesse alla cappellania? C’è collaborazione col clero ambrosiano latino? In che misura si utilizza tra i romeni il Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui celebriamo quest’anno il ventennale?
PR: La nostra attività è concentrata nella chiesa di S. Nicolao, in via S. Nicolao (dietro la stazione FS Milano Cadorna, MM1 e 2). Al di là della celebrazione dei Sacramenti, si partecipa all’educazione della seconda generazione di immigrati romeni, cioè i figli della prima. Alla Chiesa romena unita sta molto a cuore l’aspetto educativo. Col clero ambrosiano c’è grande collaborazione. Del resto, la cappellania è uno strumento pastorale dell’arcidiocesi di Milano. Il CCC si usa, ma viene integrato con i costumi orientali. Basti pensare che i Sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Eucaristia e Cresima) vengono impartiti insieme, come nella Veglia pasquale. La nostra mistagogia è completamente diversa da quella occidentale. I romeni non fanno la “prima Comunione”, per esempio, ma sono educati nella comunità a vivere il Sacramento del Perdono.
MB: Siamo ormai vicini agli oratori feriali. In che modo i fedeli romeni interagiscono con i fratelli italiani nella Fede? Nel libro di mons. Ploscaru mi ha colpito molto la presenza, tra i cattolici di Rito greco, di devozioni “nostre” come il S. Rosario.
PR: I sacerdoti romeni spronano i genitori a mandare i figli negli oratori delle parrocchie territoriali, perché non vuol dire perdere a propria tradizione, ma fa capire loro quanto sia importante “essere diversi” anche se nella stessa Chiesa. Nelle Chiese orientali sono penetrate diverse devozioni occidentali, ma lo scambio si può dire reciproco.
MB: Alleanza Cattolica si è sempre distinta, negli anni ’60-’70-’80, nel denunciare i crimini del comunismo, considerato dall’autore di un testo base di AC, Rivoluzione e Controrivoluzione di Plinio Correa de Oliveira (1908-95), la terza tappa della disgregazione della Cristianità medievale. Oggi la Rivoluzione è giunta all’instaurazione, secondo Benedetto XVI, di una “dittatura del relativismo”. Come i romeni hanno guardato al magistero dei Pontefici del XX secolo e quanto è importante la figura del Papa per essi?
PR: La nostra Chiesa è sempre stata grata a coloro che hanno cercato, tramite vari strumenti, di portare la verità nel mondo, ma è altrettanto vero che non vogliamo giudicare nessuno. L’unico che potrà giudicare tutto e tutti è il Cristo misericordioso. Quale sia l’attaccamento del nostro popolo al Papa, lo si giudichi dal fatto che noi siamo stati perseguitati non tanto allo scopo di farci abbandonare il Cristianesimo, quanto per costringerci ad abbandonare la comunione con il successore di Pietro, il Papa. Il relativismo ha colpito l’intera Europa, è un’ideologia che si fa presente anche nel modo d’intendere le confessioni religiose da parte di molti preti.
MB: Tra pochi giorni (15 maggio) sarà tra noi il patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. Quali sviluppi vede nel movimento ecumenico per quanto riguarda il dialogo con le Chiese ortodosse?
PR: Bartolomeo viene nell’Anno Costantiniano non come gesto di reciproca simpatia tra le due Chiese, ma come forte segno di speranza. Dal nostro punto di vista di romeni greco-cattolici, le differenze con gli ortodossi sono minime. Un giorno, spero, concelebreremo allo stesso altare, vista la loro continuità apostolica.