Che il pellegrinaggio dell’Azione Cattolica Ambrosiana da Mesero a Magenta, compiuto assieme al card. Angelo Scola, fosse un evento naturalmente destinato a fare notizia lo si era capito già dalla scelta della location, il santuario dedicato a S. Gianna Beretta Molla, e dall’interlocutore, ricco di storia, carismi e tradizioni, ma anche specchio delle gioie e delle fatiche del Cattolicesimo italiano del Secondo Novecento.
L’Azione Cattolica è considerata tutt’ora quella forma associativa del laicato cattolico che più è strettamente legata all’episcopato ed alle diocesi. Il Sessantotto ha esacerbato tensioni antecedenti e scatenato una grave crisi dottrinale e disciplinare, la quale ha ridotto di gran lunga l’adesione oceanica all’AC degli anni ’40-’50.
Di quella crisi l’AC ambrosiana porta ancora molti segni. La bambina che parla a nome dell’ACR, Cecilia, esalta una mostra sul Concilio Vaticano II, preparata con l’aiuto degli educatori, i cui contenuti sollevano nello scrivente alcune perplessità (frasi come “Finalmente possiamo leggere la Bibbia da soli!” appaiono francamente delle forzature in bocca a bambini, foriere di messaggi ambigui). Gli adolescenti consegnano all’arcivescovo un documento in cui si sono interrogati sul rifiuto della Chiesa da parte dei coetanei, in cui però si ripetono parole d’ordine come “dialogo”, “accoglienza”, “sobrietà” che in un recente passato si sono colorate di tinte non sempre felici.
Il card. Scola apprezza lo sforzo di autoanalisi dei giovani sulla qualità della loro fede, ma subito fa alcune precisazioni che richiamano al principio di realtà. “Loro si sono interrogati sul proprio rapporto con la Chiesa, partendo dalla frase di (Carlo Maria) Martini: “Quale futuro per la Chiesa?”. Potremmo estenderla: quale presente per la Chiesa? Il futuro o lo guardo dal presente, o non esiste come futuro. Diventa un’alienazione”, una fuga nell’utopia. “La domanda giusta sulla Chiesa è: e tu dove sei?” Perché la Chiesa siamo noi tutti “attorno al Risorto, a Maria e ai Santi” nella fedeltà alla legittima gerarchia, in particolare al Papa. Il card. Scola addita con forza l’esempio di Papa Francesco: “Noi europei siamo malati di parole. Guardate che presa ha Papa Francesco: poche parole, dirette, che esprimono la vita”.
La Chiesa ha un’ineliminabile dimensione comunitaria. L’occasione diventa preziosa per alcune indicazioni alle parrocchie circa i movimenti. “Una caratteristica di fondo dell’avvenimento cristiano è la dimensione comunitaria, che si esprime innanzitutto nelle parrocchie. La parrocchia, così come la diocesi o la zona, può involontariamente rimanere un po’ generica. Per cui è necessario che all’interno della parrocchia si sviluppino realtà comunitarie precise, perché in Europa fatichiamo a vivere un’appartenenza di Chiesa che metta in gioco la persona”. Le parrocchie non devono quindi temere i movimenti, perché vanno a loro stesso vantaggio. Esse devono assomigliare ad un giardino in cui l’anima si ristori: “Le nostre parrocchie sembrano tante piccole aziende: organizzano, organizzano… Questo viene dopo, prima bisogna creare un luogo bello, vero, buono, in cui uno si sente se stesso. Quando entro in AC o in parrocchia, mi devo sentire rigenerato!”. Spunto molto interessante, che ha aperto forse più di uno squarcio su quanto il card. Scola si appresta a comunicare al clero ambrosiano il prossimo 28 maggio.