Il card. Angelo Scola è sempre stato un grande diffusore del magistero di Benedetto XVI, con il quale ha condiviso anche lustri di ricerca accademica ed insegnamento universitario in Germania. Con il medesimo entusiasmo traduce ora al popolo ambrosiano l’insegnamento di Papa Francesco, che è in perfetta continuità col predecessore nel denunciare la dittatura del relativismo e le origini diaboliche della crisi antropologica che attraversiamo, ma prima ancora di dare una risposta filosofica al problema suggerisce una presa di coscienza pastorale.
Una della parole che più colpiscono di Papa Bergoglio è il costante invito alla tenerezza, in consonanza con la misericordia divina. Ed ecco il card. Scola consigliare ai 21 preti novelli, ordinati nel Duomo di Milano l’8 giugno, questa tenerezza come arma “disarmante” di efficace conquista delle anime, in un mondo esacerbato dalla violenza sociale e verbale. “Carissimi ordinandi, nulla, ma proprio nulla dell’essenza del sacerdozio ordinato che state per ricevere risulterebbe comprensibile e soprattutto convincente se non costituisse una concreta manifestazione di questo «chinarsi di Dio nostro Padre su ciascuno di noi per darci da mangiare» (Cfr Lettura, Os 11,4).
Non fatevi illusioni: qualunque azione priva di questo amore tenero e oblativo non raggiungerà il suo scopo. Infatti i pastori, nella Chiesa, esistono perché tutto il popolo cristiano possa contemplare l’amore fedele del Buon Pastore lungo le strade, non di rado travagliate, dell’esistenza”. Il ministero della misericordia, espresso in maniera mirabile nel sacramento della Confessione, non significa decurtare in alcun modo il depositum fidei, la dottrina, a favore di una pastorale generica. Il card. Scola lo scandisce per ben due volte: il sacerdote cattolico deve proclamare l’insegnamento della Chiesa cattolica “in tutti i suoi contenuti. Ripeto, in tutti i suoi contenuti”. La dolcezza nel trattare con la gente non implica affatto abbassare la guardia sulle derive dottrinali.
E’ un concetto che riesce difficile a quegli ambienti tradizionalisti in cui si confonde la tenerezza con il lassismo progressista e ci si arrocca in una polemica a tutti i costi, spesso sterile. In un recente convegno di questi ambienti a Milano, perfino parlare di libertà religiosa e laicità “all’americana” riguardo all’editto di Costantino (313 d.C.) è stato presentato come un tentativo di ridurre il senso di trionfo della Croce e della Verità che da quell’evento scaturisce. Non è certo questa l’intenzione del card. Scola, il quale ricorda che la libertà religiosa nel senso di relativismo etico-religioso non ha mai trovato posto nella dottrina della Chiesa: “Pio VI critica la concezione di libertà morale assoluta proposta dalla Dichiarazione dei diritti umani francese. Gregorio XVI (…) disapprova con l’enciclica Mirari vos l’indifferentismo e la libertà assoluta di coscienza su esso fondata”. Perché non esiste nessun diritto dell’errore, ma l’errante bisogna rispettarlo nella sua dignità umana di creatura di Dio. Nel mondo contemporaneo ciò che è in gioco è l’uomo stesso e difenderne la dignità naturale significa già testimoniare la verità dell’antropologia cattolica.