Care amiche, cari amici
Nel pieno dell’estate è arrivata Lumen fidei, la prima enciclica di papa Francesco. Non credo rimarrà a lungo sulle prime pagine dei giornali, anzi forse è già stata archiviata. Infatti, non tratta un tema che si presti a semplificazioni giornalistiche, non favorisce quei titoli che riempiono quasi tutti i giorni le prime pagine dei quotidiani. Si occupa della Fede e la notizia che ha attirato la curiosità mediatica è che riprende in gran parte un testo preparato dal suo predecessore, Benedetto XVI. Ma l’enciclica a quattro mani in realtà è Magistero di papa Francesco, a tutti gli effetti.
Invece noi dobbiamo leggerla e rileggerla, perché tocca il tema fondamentale, dal quale dipendono tutti gli altri.
Diceva papa Benedetto XVI l’11 maggio 2010, a Lisbona: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?».
E’ una frase molto importante, da non scordare, perché ci aiuta a comprendere come il Magistero di Francesco tocchi veramente il cuore di ogni problema, appunto quello della Fede, di come aiutare le persone a credere, soprattutto i giovani.
Infatti, se non parte la nuova evangelizzazione, se le persone non tornano alla fonte e alle radici della nostra cultura, anche l’apostolato culturale diventerà sempre più difficile. In realtà, si ripete il problema che accompagna la storia del rapporto fra la Chiesa cattolica e la modernità, e che è perfettamente presente nell’enciclica di papa Francesco: «Nella “modernità” si è cercato di costruire la fraternità universale tra gli uomini, fondandosi sulla loro uguaglianza. A poco a poco, però, abbiamo compreso che questa fraternità, privata del riferimento a un Padre comune quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere. Occorre dunque tornare alla vera radice della fraternità». Nessuna fraternità è possibile senza Dio, il Padre comune, che la fondi, di questo dobbiamo essere consapevoli. Con questa consapevolezza, bisognerà allora cercare le strade più adatte per proporre agli uomini di oggi la Fede nel Padre comune, seguendo le indicazioni del Magistero e confidando nell’assistenza da parte dello Spirito Santo.
L’enciclica ci aiuta anche a comprendere la continuità sostanziale fra Benedetto XVI e Francesco, che permette di cogliere l’importanza e la funzione unificatrice e di guida del ministero petrino, al di là della diversità di stile che contraddistingue ogni pontefice.
Quindi l’invito è a leggere e studiare questo documento. Abbiamo anche delle slide, preparate da Massimo Introvigne, per presentarlo in parrocchia, nei centri culturali, in case private, ovunque qualcuno volesse incontrarsi per parlare del Magistero del papa e della sua ultima enciclica. Lo scopo è quello di fare conoscere l’insegnamento del Pontefice e di costruire dei legami fra le persone a partire dal Magistero, dei “gruppi del Magistero” se così possiamo chiamarli.
L’enciclica viene pubblicata in un periodo in cui il mondo e la Chiesa stanno attraversando una fase particolare. Da una parte il Papa raccoglie molti consensi per la sua capacità di parlare in modo semplice e diretto al popolo e alle sue esigenze, una simpatia reale che spesso si traduce in un ritorno alla pratica religiosa e alla vita sacramentale. Dall’altra, il suo insegnamento va presentato attraverso le sue parole, non per mezzo dei titoli dei giornali. Per esempio, il Papa è andato a Lampedusa l’8 luglio per pregare soprattutto per coloro che sono morti mentre cercavano rifugio e lavoro in un mondo migliore, dove poter vivere e lavorare senza troppa sofferenza. E ha invitato il mondo a non chiudere gli occhi di fronte a questa tragedia e soprattutto i cristiani a trovare il tempo della compassione, del patire con chi soffre. Ma non ha fatto un discorso politico, non ha criticato le leggi che sostengono che non tutti gli immigrati possono entrare, anche se sprovvisti di lasciapassare, perché questo sarebbe un modo demagogico di entrare in un campo altrui.
Per questo sarebbe importante che in ogni parrocchia, accanto ai gruppi del Vangelo o della Caritas, nascessero anche i “gruppi del Magistero”, e così colmare decenni di ritardo …
Marco Invernizzi