Commuove sempre il modo con cui, nel Duomo, viene celebrata la ricorrenza della memoria del beato Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. L’arcivescovo suo successore officia un pontificale solenne all’altare maggiore, che vide il card. Shuster compiere con attenzione e visibile trasporto i sacri riti, e si porta nella navata destra, dove il “monaco prestato a Milano” (parole dello storico mons. Luigi Crivelli) riposa ai piedi di un altare antico, vicino alle tombe del beato Andrea Carlo Ferrari (1894-1921) e del card. Giovanni Colombo (1963-79). Ivi depone un omaggio floreale.
Quest’anno la memoria del beato è impreziosita dalla concomitanza con il convegno celebrativo dell’editto di Milano (313 d.C.), ospitato nei chiostri dell’Università Cattolica. La libertà della Chiesa è un tema che tocca direttamente la società civile e al card. Angelo Scola non sfugge la connessione con l’operato del suo predecessore sulla cattedra di Ambrogio e Carlo. “Nel ministero del cardinal Schuster vissero inscindibilmente uniti lo zelo pastorale per la salvezza del gregge a lui affidato e la preoccupazione per il bene della comunità civile. Davvero la sua testimonianza di persona consacrata totalmente a Dio (…) ne ha fatto un punto di riferimento sicuro per credenti e non credenti”.
Il card. Schuster, infatti, non temette di difendere i diritti della Chiesa e dell’uomo in quanto tale di fronte a nemici assai poco inclini al dialogo come nazisti e comunisti. Lontano da ogni accenno di violenza, seppe ugualmente essere incisivo anche nei momenti più drammatici, come la fucilazione di Benito Mussolini, testimoniando nell’agone pubblico i valori perpetui del Decalogo. Questo lo trasformò, agli occhi dei milanesi, in una figura emblematica della città, vero defensor urbis che condannava i torti da qualunque parte provenissero.
Da Schuster l’arcidiocesi di Milano deve imparare proprio questo spirito intrepido di missione, che non si ferma neppure davanti all’ostacolo più tenace. “Ricordando oggi la sua luminosa figura, a 59 anni dalla morte, (…) ci riconosciamo tutti chiamati, ciascuno secondo il proprio stato di vita, a vivere la missione cristiana (Il campo è il mondo) con dedizione e letizia, ben consapevoli della responsabilità che questo comporta di fronte al mondo”.
La Chiesa non deve quindi temere di stare sul proscenio, perché non può esimersi dal giocare la sua parte per il bene dell’umanità. Porta con sé, infatti, l’unica Parola che salva. “L’anno costantiniano, che abbiamo voluto intitolare liberi per credere, ci impedisce di vivere in modo privato la nostra fede”, perché “questo esporsi del cristiano nella vita pubblica non ha altra ragione che l’amore di Cristo per ogni persona”.
Un altro arcivescovo dalla rilevante presenza pubblica fu il card. Carlo Maria Martini (1927-2012). Ad un anno di distanza dai funerali, il card. Angelo Scola concede un’intervista al Sole 24 ore (28 agosto), al quale confida la forte impressione che gli riserva quotidianamente la vista del ritratto di Martini nella quadreria arcivescovile. “Nella sala d’ingresso dell’Arcivescovado sono appesi i ritratti dei cardinali di Milano miei predecessori. Quello di Martini, opera del pittore Alessandro Papetti impressiona. Lo considero il meglio riuscito. Il colore dominante è il nero. Ciò rende, al primo colpo d’occhio, enigmatica tutta la tela fin quando lo sguardo non si posa sul volto e sulle mani del Cardinale. A quel punto il ritratto ti coinvolge e capisci che l’artista ha colto il punto nodale della ricca personalità”. Il contorcimento delle mani attorno alla croce pettorale rivela l’intimo tormento del cardinale defunto, del quale il card. Scola non si nasconde che esistano punti oscuri (“aspetti non privi di intrinseca tensione”). Tuttavia, l’arcivescovo di Milano critica a fondo le ricostruzioni della vita del predecessore che sfruttano solo ciò che è utile a certe correnti ideologiche e dimenticano quello che considera il dato fondamentale di Martini, ovvero il suo essere comunque un uomo di Dio. Ciò che costituisce Schuster come Martini, come qualsiasi altro credente, è “l’apertura interrogante dell’uomo verso il Mistero. (…) Tutto quello che, anche in questi giorni, viene scritto sulla figura, sul pensiero e sull’azione pastorale del Cardinale (Martini) diventerebbe facilmente unilaterale se non fosse collocato in questa prospettiva unificante”.