Ad inizio settembre l’arcidiocesi di Milano ha ospitato un convegno nazionale dei teologi, conclusosi con la Messa, presieduta dal card. Angelo Scola nella prepositurale di Lecco. In quell’occasione l’arcivescovo ha spronato l’Associazione Nazionale Teologica Italiana a “Riflettere sul mistero della traditio, meglio ancora sulla Chiesa come tradizione”. Il tema della tradizione nella Chiesa è uno dei punti più caldi nella teologia di oggi. Il fedele cattolico non deve dare il proprio assenso solo alla Sacra Scrittura, ma riconosce come fondante anche il magistero della Chiesa, che interpreta la Bibbia autenticamente seguendo l’ispirazione dello Spirito Santo. Tuttavia, ciò è stato spesso messo in dubbio negli anni del Post-Concilio (1965-78) da diversi teologi.
Il card. Scola mostra come l’esistenza di una tradizione nella Chiesa, da rispettare e difendere, si radichi nella stessa perpetuazione del Sacrificio eucaristico: “Guardiamo, anzitutto, l’azione sacramentale che stiamo celebrando. Essa scaturisce dalla convocazione del popolo santo di Dio, realizzata dalla Trinità, perché partecipi eucaristicamente alla Sua propria Vita. Da duemila anni, e in modo ininterrotto, i cristiani si radunano per celebrare l’Eucaristia ricevendo in tal modo la loro fisionomia propria dal dono sacramentale a loro trasmesso. Il dono è lo stesso Cristo Gesù. (…)La Chiesa come traditio, pensata a partire dall’Eucaristia, è popolo di Dio, assemblea eucaristica, communio hierarchica. Lo Spirito del Padre e del Figlio, infatti, attraverso il dono sacramentale del ministero apostolico, garantisce alla Chiesa il suo essere popolo sacerdotale, sacramento universale di salvezza (cf. Francesco, Lumen fidei 49). L’autorità nella Chiesa, in questo modo, è tutta in funzione e al servizio del popolo santo”. Mai più quindi una teologia che non rispetti le autorità gerarchiche, mai più una teologia che lacera la comunione ecclesiale e scandalizza i semplici. Una vera perorazione per la teologia “in ginocchio”, cioè umilmente inginocchiata davanti al suo oggetto di fede.
Col medesimo spirito il card. Scola scrive ora ai teologi che lavorano nell’Università Cattolica, che a partire dal 16 settembre si radunano a Sarnico (BG) per discutere del rapporto tra il loro insegnamento e le altre materie. I convegnisti sono ben 60 tra teologi e cappellani delle varie sedi dell’Università Cattolica, compresa quella di largo Gemelli 1. Nella missiva, l’arcivescovo di Milano, che è anche presidente dell’Ente Toniolo che regge finanziariamente l’Università, indica la teologia come il collante che tiene insieme tutte le altre espressioni dell’ingegno umano. E’ dalla visione di Dio, infatti, che discende uno sguardo differente sulla realtà.
Per dare maggior forza alle proprie argomentazioni, il card. Scola richiama gli esempi del card. Hans Urs Von Balthasar (1905-88), del beato Antonio Rosmini Serbati (1797-1855) e, soprattutto, del beato John Henry Newman (1801-79). Il celebre teologo inglese fu l’unico dei tre che tentò materialmente la costituzione di un’università cattolica, quella di Dublino, di cui fu rettore dal 1854 al 1858. Per essa Newman scrisse l’opera Idea of a University (1852), in cui teorizzava un ateneo cattolico che proprio per questo coniugava Fede e Ragione, aprendosi con fiducia a quanto di meglio produceva anche la contemporaneità, perché il credente genuino è saldo nei principi e non ha paura di nessuno.
L’esperimento dublinese di Newman fu stravolto dal nazionalismo irlandese, che non aveva compreso come la scelta per la lingua britannica fosse per ampliare lo spettro di comunicazione col mondo, tuttavia i presupposti scientifici espressi in Idea of a University rimangono talmente attuali che, a distanza di poco più di un secolo, il card. Scola invita ora l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano a farli propri, per non ridurre la teologia ad un piccolo corso obbligatorio e continuare a testimoniare che essere pienamente cattolici non va a detrimento del rigore scientifico.