L’autore ci rende partecipi di una scoperta che ha scioccato il popolo americano: nel settembre del 2008, al crollo delle borse, la “classe dominante” ha preso il sopravvento, si è palesata al popolo americano imponendo ricette economiche di sapore “statalista”, contro il comune sentire della “country class”.
Codevilla vuole spiegare cosa si può intendere come “rivoluzione” negli Stati Uniti d’America, delineando le forze in gioco nella società americana definendo “La classe dominante” che, dati alla mano, risulta essere minoranza del paese e una cosidetta “country class”, maggioranza del paese. La classe dominante non è necessariamente l’elite finanziaria e industriale del paese, essa risponde a dei cliché predefiniti come l’intervento dello stato nell’economia e nella vita quotidiana, la ridefinizione del concetto di famiglia, il politicamente corretto di stampo ambientalista, lo scientismo a-scientifico. La nascita di questa relatà non è nuova, Lincon, Wilson, Roosevelt, Bush Senior, costituiscono gli “antichi” campioni portatori di una nuova visione del mondo, opposta allo spirito della costituzione dei Padri Fondatori.
La classe dominante non ha una rappresentanza politica definita, ma Codevilla identifica il Partito Democratico come punto di riferimento. Indubbiamente la classe dominante è trasversale e riesce riuscendo a imporsi nel quadro politico statunitense.
Sull’altro fronte vive la “country class” che conserva lo spirito dei Padri Fondatori, crede nella responsabilità personale, nella familglia tradizionale, nel libero mercato. Questa maggioranza silenziosa non ha una rappresentanza politica e non è più disposta a delegare a un rappresentante della classe dominante, che sia Democratico o Repubblicano.
Nella postfazione Alberto Mingadi individua nei “Tea Party” la prima risposta politica della country class, una reazione dalle caratteristiche “domestiche”, dove le donne hanno la parte più importante. Lo scontro appare però più culturale: in gioco ci sono le basi stesse della società americana e con essa l’occidente.
Michelangelo Longo