Il ricorrere dei cento anni dalla costituzione, per ordine del beato Andrea Carlo Ferrari (arcivescovo di Milano 1894-1921), di quella che il 7 novembre 1913 era la Federazione degli Oratori Milanesi ed oggi è la Fondazione Oratori Milanesi (FOM), vede un interessantissimo intervento del card. Angelo Scola durante l’evento celebrativo, che ha luogo il mattino del 16 novembre nel Seminario di Seveso.
Chi si aspettava un discorso “di circostanza”, è stato invece sorpreso da un magistrale riassunto delle vicende storiche che hanno condotto alla situazione attuale degli oratori. Un riassunto rafforzato da una lucida analisi sociologica, molto vicina a quella condotta da Enzo Peserico (1959-2008) nel suo Gli anni del desiderio e del piombo (Sugarco 2008).
Il card. Scola parte, infatti, dal suo vissuto di ragazzo ambrosiano degli anni ’40-’50 per descrivere i cambiamenti di mentalità avvenuti in appena 50 anni. Ancora nel 1952 il parroco di Malgrate si poteva permettere di segnare con scandalo sul liber chronicon i nomi di quei “sei che non erano andati in chiesa durante la visita pastorale dell’arcivescovo”, questo perché si era in un contesto in cui tutta la società si riconosceva naturaliter nei valori e nella pratica del Cattolicesimo.
Poi è arrivato il Sessantotto: il card. Scola non teme di sillabare quella data cardine del Novecento e di denunciare come istanze legittime si siano tradotte in un’adesione acritica al (e lo sillaba di nuovo) “marxismo-leninismo”, con effetti catastrofici sull’associazionismo cattolico. “Noi di Gioventù Studentesca eravamo circa 1500, se ne saranno andati 1420 e così dappertutto. (…) Intere masse sono uscite dagli oratori per correre dietro a queste ideologie”. L’arcivescovo considera lo squarcio del 1968 un punto cardine del XX secolo cattolico e non esita a raccomandarne un’analisi approfondita nella rievocazione dei 100 anni della FOM: “Sarebbe molto interessante scrivere la storia di quegli anni…interrogate i testimoni…”. Vuole conoscere e far conoscere la storia di chi ha resistito alla marea ed è rimasto fedele alla Chiesa.
Il card. Scola indica una seconda data cardine, il 1989, anno in cui “l’individualismo post-moderno” ha sostituito “l’individualismo moderno” dell’epoca delle ideologie, portando all’attuale “frammentazione” della personalità umana. L’uomo, oggi, privato dai decenni precedenti di solidi riferimenti spirituali e morali, è diviso in se stesso, alla ricerca disperata di un baricentro che raccordi le varie anime del suo sentire.
Come si devono porre gli oratori in un contesto così sfigurato dalla secolarizzazione? Il card. Scola dà alcuni suggerimenti molto semplici. L’oratorio deve riscoprirsi come trasmissione ad ogni uomo, di qualsiasi età, del “principio unificante vitale” che è Gesù, pertanto deve sfoltire le iniziative e puntare alla partecipazione concreta degli adulti e delle famiglie nella comunità educante oratoriana. Spesso ci si sfinisce dietro ai “minimi particolari”, mentre il segreto è far respirare aria di condivisione. “Alla domenica ci si può fermare a pranzo in oratorio, tu porti il salame, l’altro il vino, si può proiettare un film per i più piccoli, organizzare qualcosa sul campo di calcio per i più grandi, poi in chiesa si cantano i Vesperi della Madonna, come ci ricordiamo noi vecchi”, il tutto nella corresponsabilità di catechisti, animatori e genitori.
Uno dei relatori pone il problema della compresenza di molte proposte educative, percepite dagli stessi genitori come in antitesi. Il card. Scola sprona a superarle per esempio accogliendo a pieno titolo nei cortili degli oratori le sedi e le riunioni dei movimenti, secondo il criterio della “pluriformità nell’unità”, cosicché si superi quella che considera la malsana distanza tra i due mondi.
Gli oratori sono quindi invitati a riflettere storicamente e filosoficamente sulle cause del relativismo odierno, senza perdersi però in uno sterile intellettualismo. L’esegesi biblica di certi corsi è appesantita da tanti “arzigogoli sulle parole”, con il rischio di non vedere più l’insieme del messaggio: Gesù Cristo, che si diceva Figlio di Dio, ha creato attorno a sé una comunità di dodici discepoli, che lo hanno seguito fino agli eventi drammatici di Gerusalemme e sono diventati quindi testimoni della Risurrezione.
Dalla sequela alla testimonianza: questo il percorso che deve compiere ciascun oratorio e che è simboleggiato dalla fiaccola benedetta che viene affidata ad ogni zona pastorale. La fiamma dei 100 anni della FOM ricorda a tutti gli oratori ambrosiani di essere federati nell’unità della Chiesa locale, condividendo preoccupazioni e gioie, ma soprattutto la medesima missione.
La predicazione dell’arcivescovo in Duomo nell’Avvento ambrosiano.
Con domenica 17 novembre Milano entra nel suo caratteristico Avvento, che dura sei settimane. Il card. Angelo Scola predica personalmente l’Avvento nel corso di celebrazioni speciali, presiedute da lui stesso in Duomo. Per tutta la durata del’Avvento questa rubrica allegherà ogni settimana uno stralcio della predicazione domenicale dell’arcivescovo, offrendola alla riflessione dei lettori.
“L’attesa di colui che viene dice che la storia ha un senso e una direzione, quindi uno scopo. (…) La nostra storia personale, quella di tutta la famiglia umana e quella del cosmo sono destinate a finire, come ci dicono l’esperienza e le scienze, ma non finiranno a causa di guerre o catastrofi: termineranno con la venuta-ritorno del Messia. L’attesa della fine è orientata ad un evento di salvezza. La liturgia di oggi è attraversata dalla speranza, dal sorriso contagioso della virtù bambina”.