“…avvertiamo il valore di testimoniare nelle nostre società l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo” (Papa Francesco)
La ricerca della bellezza non è superflua, né priva di riflessi sulla vita – e infatti noi senza accorgercene la ricerchiamo, anche nella scelta dell’arredamento o dell’abbigliamento. Immaginiamo di eliminare tutto ciò che consideriamo bello nella nostra vita quotidiana e questa non sarà più tanto differente da un lager… Al contrario questo pellegrinaggio è una necessità innata, che conferisce senso alla vita, è in grado di appagarci e di guarire le ferite dell’anima, e più che una semplice ricerca si configura come una “Cerca”, proprio come quella del Santo Graal, con la quale ha molte cose in comune (forse perché, in ultima analisi, è la stessa cosa…): è un pellegrinaggio esteriore e interiore; richiede nobiltà e purezza di spirito; e ha il suo vertice nell’Eucaristia, sacramentum caritatis, ma potremmo dire anche sacramentum pulchritudinis, sacramento della bellezza. I Cavalieri del Graal non cercavano un oggetto qualsiasi, ma volevano giungere a contemplare una visione estetica e mistica (le “meraviglie del Graal”) senza la quale la loro vita, neanche le loro virtù cavalleresche avrebbero avuto senso.
Innanzitutto, cos’è un pellegrinaggio? È molto più che un movimento puramente fisico, al contrario esso implica in primo luogo un’ascesi – «uscire da noi stessi» – alla ricerca di «verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione» (Benedetto XVI). Così nella Cerca: la disposizione d’animo dei cavalieri è quella del pellegrino, non quella del turista; vengono più volte ammoniti e confessati da eremiti; e la loro Cerca è allo stesso tempo esteriore e interiore, combinando avventura e ascesi. L’ascesi non va intesa in senso moralistico, non è una sorta di autoflagellazione, piuttosto consiste nel ripulire le lenti appannate, purificare il cuore e lo sguardo poiché «tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano», come osservava Antoine de Saint-Exupery ne Il Piccolo Principe. L’adulto che si sorprende ad “ammirare” come un bambino è in grado di «uscire dalla quotidianità, dal mondo dell’utile, dell’utilitarismo, uscire solo per essere realmente in cammino verso la trascendenza» (Benedetto XVI); non ha nostalgia della sua infanzia, bensì dello sguardo che aveva nella sua infanzia. È la stessa purezza di cuore per cui lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton godeva del medesimo senso di meraviglia dei bambini, i quali vedono lontano perché hanno due caratteristiche: sono puri e fanno domande – e fanno la “domanda giusta”, come al Re Pescatore.
Lancillotto invece, che da un pezzo ha perso la purezza di cuore, vorrebbe trovare il Santo Graal, lo cerca, ma ha scelto anche il ripiegamento in quella che l’allora cardinale Joseph Ratzinger definiva «la bellezza mendace, falsa, una bellezza abbagliante che non fa uscire gli uomini da sé per aprirli nell’estasi dell’innalzarsi verso l’alto, bensì li imprigiona totalmente in se stessi. E’ quella bellezza che non risveglia la nostalgia per l’indicibile, la disponibilità all’offerta, all’abbandono di sé, ma ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di piacere». Durante l’apparizione del Graal, Lancillotto resta addormentato: «Dev’essere un cavaliere che ha su di sé un grave peccato che non ha mai confessato; un cavaliere talmente colpevole che Nostro Signore non ha voluto che assistesse a questo prodigio» (CdG), osservano i presenti. Alla fine giungerà ad una contemplazione imperfetta e lui stesso alla fine riconoscerà che avrebbe potuto vedere di più se non fosse stato per i suoi peccati: «se non fosse stato per colpa dei miei peccati e della mia sventura avrei visto ancora di più; ma a causa della slealtà che Dio scoprì in me persi il potere degli occhi e del corpo» (CdG). Del resto già era stato ammonito da un santo eremita: «Lancillotto, se non sarete attento nell’astenervi dal commettere peccato mortale e non abbandonerete i pensieri terreni e le delizie del mondo, invano andrete in questa Cerca» e «Se il Santo Graal apparisse davanti a voi, non credo che lo potreste vedere più di quanto un cieco possa scorgere una spada piantata davanti ai suoi occhi» (CdG), perché solo chi cerca trova, solo chi fa le domande ottiene le relative risposte e Lancillotto, diviso tra il Graal e Ginevra, rischia di perdere di vista l’obiettivo. La vera bellezza invece sazia, come il Santo Graal di cui si nutre il Re Pescatore, come quell’ostia che «sostiene e conforta la sua vita, tanto essa è santa, ed egli stesso [il Re] è sì santo che nulla lo fa vivere se non l’ostia del Graal»(ChdT).
Benedetto XVI ha insistito molto sulla differenza – discernimento – tra la vera e la falsa bellezza: quest’ultima è a portata di mano, ma rinchiude in se stessi, non nutre, non sazia, non guarisce, anzi approfondisce le ferite; quella invece di rinchiuderci ci apre all’infinito, ci permette di percepire che «l’unica cosa che amiamo nella vita sono le presenze che l’attraversano come messaggere d’altri mondi» (Nicolás Gómez Dávila).
Se Lancillotto non è puro, Parsifal è indifferente: pur vedendo il Graal, non pone la domanda che potrebbe guarire il Re Pescatore; resta indifferente e anche la sua contemplazione è incompleta – è l’errore di chi non si pone la questione della bellezza, non tiene conto di questa “necessità” e non si sentirà mai realizzato, mentre chi cerca la bellezza ricomincia a vivere anche nelle situazioni peggiori, perché «la bellezza è il volto dell’amore che risplende nella desolazione» (Roger Scruton). Possiamo avere tutto nella vita, ma se manca il desiderio della bellezza vuol dire che questa vita è vuota.
Galaad è il vero cavaliere, il puro, l’unico mosso dal solo desiderio di vedere il Graal. Cerca il Regno di Dio e in sovrappiù vede tutte le meraviglie del Graal e guarisce il re pescatore. Ha cercato e ha trovato, tanto che nella visione del Graal lo stesso Nostro Signore dice: «da mortali siete diventati creature spirituali e mi avete cercato tanto che non posso più nascondermi ai vostri occhi» (CdG). La sua purezza gli ha permesso di giungere alla contemplazione perfetta del Graal, gli ha concesso la vista più acuta di tutti. Come la Cerca del Graal è scandita dalle soste in eremi e monasteri dove i cavalieri si fermano ad assistere all’Ufficio Divino e alla Messa, così anche l’opera architettonica del servo di Dio Antonio Gaudì (1852-1926) attingeva ai tre libri della natura, della Scrittura e della Liturgia: «Così unì la realtà del mondo e la storia della salvezza, come ci è narrata nella Bibbia e resa presente nella Liturgia» (Benedetto XVI). Quest’ultima è la scuola privilegiata per imparare a riconoscere la bellezza, di cui è modello supremo; la Liturgia è bellezza “operante” che realmente nutre, sazia e guarisce, poiché in essa agisce il vero Santo Graal, il vero calice del Sangue di Nostro Signore che porta con Sé tutte le meraviglie del Paradiso. Per questo Tolkien ci propone «l’unica grande cosa da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. […] Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera» (John R.R.Tolkien).
Riferimenti:
CdG: Cerca del Graal, tr.it. Borla, Milano 1985
ChdT: Chretien de Troyes, I cavalieri della Tavola Rotonda, tr.it., San Paolo, Cinisello Balsamo 2006
Le citazioni di Benedetto XVI sono tratte dal viaggio apostolico a Santiago de Compostela e Barcellona (6-7 novembre 2010)