Si è conclusa il 31 gennaio la prima sessione di lavori per trovare una soluzione al conflitto in Siria. I negoziati di pace sono iniziati a Montreux (Svizzera) lo scorso 22 gennaio, e sono proseguiti a Ginevra, con la partecipazione di delegati di più di 40 nazioni. Questa prima sessione di lavori non ha portato purtroppo risultati immediati, soprattutto riguardo al modo in cui affrontare la “disperata situazione umanitaria” della popolazione. Le speranze di tutti sono rivolte alla prossima sessione, che dovrebbe aprirsi il 10 febbraio.
Un conflitto globale
La soluzione delle ostilità, comunque, non riguarda la sola Siria, che vive una drammatica situazione di guerra civile da ormai quasi tre anni; dietro a questo scontro, infatti, si nascondono gli interessi economici e politici non solo del Medio Oriente, ma anche dell’Occidente, nonché la guerra di carattere religioso, interna all’Islam, tra sunniti e sciiti. Il rischio reale di entrare in un conflitto mondiale a partire proprio dalla Siria è solo di qualche mese fa, e proprio per questo Papa Francesco aveva indetto una giornata di preghiera e di digiuno lo scorso settembre.
“È ormai chiaro a tutti” – ha detto Padre Bernardo Cervellera, missionario del PIME e direttore dell’agenzia AsiaNews, nel corso di un incontro organizzato a Milano dall’associazione “LE 2 CITTÀ” a fine dicembre – “che in Siria si giocano i destini prossimi del Medio Oriente, dell’area del Mediterraneo e in qualche modo di tutto l’Occidente, legato a questa regione da enormi interessi economici”. In questa occasione, Padre Cervellera ha ripercorso a grandi linee l’evolversi del conflitto, partendo dai primi moti di primavera araba del marzo 2011 e illustrando quali sono i problemi attuali della Siria, oltre alle emergenze che è necessario adoperarsi per risolvere o lenire.
Il regime degli Assad
In Siria, prima della rivolta, vi era una discreta convivenza tra i diversi gruppi religiosi ed etnici; il governo guidato dagli Assad era molto autoritario, ma aveva saputo mantenere la nazione in uno stato di equilibrio, garantendo l’unità del Paese e la convivenza tra le varie comunità religiose ed etniche, permettendo la libertà di culto e una relativa libertà di espressione per tutte le religioni, nonostante la censura e i frequenti controlli della polizia segreta. In questo contesto la Chiesa è stata sempre abbastanza libera, nella misura in cui non si interessava troppo di politica e soprattutto non criticava la famiglia Assad. Il governo degli Assad, che era un regime laico, non aveva permesso la crescita del fondamentalismo islamico, il che, in una regione come questa, è un valore indiscutibile. Assad padre ha combattuto, anche con azioni molto militari pesanti, per sopprimere il fondamentalismo; ciò che, prevedibilmente, ha suscitato il rancore e l’odio tra i fondamentalisti. Odio che è riemerso all’alba dell’attuale conflitto, perché i primi a dichiarare guerra contro Assad sono stati proprio i fondamentalisti sunniti, in particolare quelli che hanno avuto parenti e correligionari uccisi nel massacro di Hama per mano dell’esercito siriano, località della Siria dove si verificò una delle repressioni più sanguinose negli anni ’80 contro una sollevazione anti-governativa organizzata dai Fratelli Musulmani.
In Siria comunque, sotto i regimi Assad, tutte le minoranze hanno goduto degli stessi diritti riconosciuti alle maggioranze, e questo è indubbiamente un altro valore, perché la Siria, come il Libano, è un mosaico di presenze etniche e religiose: oltre alla minoranza alawita – il gruppo di “sciiti eretici” a cui appartiene la famiglia Assad -, ci sono la minoranza curda – il cui gruppo più numeroso si trova al confine con la Turchia -, la minoranza drusa e infine la minoranza cristiana, suddivisa nei vari culti di appartenenza. Questa discreta libertà, insieme alla parità di trattamento per le minoranze e al regime prettamente laico, ha però creato una situazione anomala nel panorama mediorientale, vissuta con invidia dalle popolazioni vicine e con paura dai governi degli Stati confinanti.
La primavera araba: un pretesto per la guerra santa e per il ritorno a un grande califfato sunnita.
L’esercito siriano ha represso fin da subito le manifestazioni di “primavera araba” di Damasco, i cui dimostranti rivendicavano maggiore democrazia e libertà, più lavoro e meno corruzione. Queste manifestazioni, comunque, sono state cavalcate quasi da subito dai fondamentalisti, wahabiti o salafiti, venuti in Siria da tutte le parti del mondo islamico perché richiamati dall’idea della guerra santa contro Assad, che non è considerato un vero musulmano; il progetto era quello di eliminare sia i musulmani moderati, che dialogano con gli altri e che non vogliono la guerra santa, sia i cristiani arabi, perché “inquinano” la cultura araba.
Il progetto dei fondamentalisti consiste sostanzialmente nel ritorno a un grande califfato che comprenda tutto il Medio Oriente, tutta l’Africa del nord, tutta l’Andalusia e tutta l’Italia meridionale, vale a dire le conquiste arabe dei primi secoli di diffusione islamica, e stanno combattendo una guerra santa per poter realizzare questa espansione territoriale contro i regimi laici che ritengono corrotti e impuri, con la volontà di liberare il territorio dalla presenza cristiana. Questo spiega perché, in ogni luogo dove i fondamentalisti prendono il potere, i cristiani vengono discriminati e perseguitati: dal pagare la tassa per essere protetti, come negli antichi regni islamici, al sottomettersi alla sharia, alla conversione forzata sotto tortura, all’uccisione.
Episodi come quello del Padre gesuita Paolo dall’Oglio, delle 13 suore di Maaloula – la città dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù -, dei due vescovi ortodossi rapiti in aprile, della decapitazione di 3 francescani caricata su youtube – poi risultata falsa -, hanno una loro funzione: quella di spaventare i cristiani. Diffondendo queste notizie, dove è evidente che le persone consacrate non hanno più difesa, si vuol portare i cristiani a disperare e a fuggire. Colpire vescovi, frati, suore significa che non c’è più sacralità che tenga, e che nessuno è più al sicuro. Tutto questo ha profondamente lacerato il Paese, che si sta letteralmente disgregando.
L’emergenza più grande: milioni di sfollati e profughi che lottano per la sopravvivenza.
La situazione attuale è gravissima, con emergenze che riguardano innanzitutto la sopravvivenza della popolazione. In Siria dopo questi tre anni di guerra civile, ci sono 9 milioni di sfollati interni, che vagano da una zona all’altra del Paese spostandosi di volta in volta nelle zone dove non si combatte o nei luoghi più sicuri (di solito quelli controllati dall’esercito siriano, in quanto i ribelli sono molto violenti e applicano la sharia). Ai 9 milioni e mezzo di sfollati, va aggiunto il dramma della sopravvivenza per tutti i profughi: a Settembre 2013 c’erano un totale di 1.200.000 profughi in Libano, 500.000 in Giordania, 500.000 in Turchia, diverse centinaia di migliaia in Iraq.
L’emergenza più grande è proprio la situazione sociale dei profughi, che rischiano di morire anche nei campi profughi, 400 dei quali sono abusivi: vengono costruiti dei ripari improvvisati con ciò che si trova – mettendo insieme pezzi di legno, pezzi di cartone, fogli di cellofan -, dove con l’arrivo dell’inverno e della neve, si muore assiderati. Il direttore della Caritas Libano denuncia una situazione disperata, dove non basta il cibo, non bastano le medicine, non basta il carburante. L’emergenza profughi è una tragedia per milioni di persone, che non ci può lasciare indifferenti. Per questo è necessario aiutare tutte quelle associazioni umanitarie che sono in contatto diretto con i profughi.
Anche in città come Damasco la situazione è difficile: la gente non lavora più perché non è sicuro uscire di casa; gli agricoltori non coltivano più la terra, e quindi non ci sono più derrate alimentari nel Paese. Le uniche derrate alimentari vengono dall’estero a prezzi proibitivi, per cui la maggior parte della popolazione non riesce ad acquistarle ed è costretta a inventarsi altro: alcuni si riducono a mangiare corteccia di albero, erba, tutto ciò che di commestibile riescono a trovare. In questo dramma stanno dando grandissima testimonianza le parrocchie, sia a Damasco sia ad Aleppo, e i conventi francescani in altre parti della Siria, perché raccolgono gli sfollati e ogni giorno cercano di trovare da mangiare per migliaia e migliaia di persone.
Un parroco di Aleppo, ad esempio, deve nutrire tutti i giorni circa 17.000 sfollati. Questi religiosi sono costretti dalla situazione a lavorare nell’ombra, perché in questo modo riescono a ottenere permessi da una parte dai ribelli, per far passare cibo, e dall’altra parte dall’esercito, per far passare le medicine, tanto più che questi beni di prima necessità possono essere venduti bene in Siria, e proprio per questo sono più che mai preda di ladruncoli e predoni, che nessuno ormai riesce più a controllare; persino i rapimenti sono modi di fare cassa. Tra i profughi sfollati ci sono moltissimi cristiani, che rappresentano il 10% della popolazione siriana, appartenenti a diversi riti: greco-cattolici, greco-ortodossi, armeni, siro-ortodossi, siro-cattolici, ecc., che peraltro in questo periodo stanno vivendo un’unità che non avevano mai vissuto.
L’importanza del successo della conferenza di pace.
Cosa significherebbe, dunque, per la popolazione siriana il successo della Conferenza di pace? Innanzitutto un cessate il fuoco immediato: solo dall’apertura del tavolo di pace il 22 gennaio ad oggi sono state calcolate altre 1900 vittime. Il secondo aspetto di fondamentale importanza riguarderebbe l’apertura di un canale per far arrivare gli aiuti umanitari. L’esito positivo della Conferenza di pace significa inoltre la nascita di un governo di transizione che dia vita a una nuova Costituzione e che indìca nuove elezioni democratiche; ma sia i ribelli sia Assad, con i due schieramenti che li sostengono, fanno fatica ad accettare queste condizioni.
La difficoltà a realizzare e a portare a buon fine la Conferenza di pace nasce dal fatto che questa guerra è nata come piccola primavera araba, ma è stata cavalcata dai nemici della Siria. Il conflitto riguarda più di un aspetto: c’è l’aspetto economico legato alla possibilità di realizzare un oleodotto per vendere gas e petrolio all’Occidente, che vede due diversi progetti che passano da Paesi diversi per arrivare al Mediterraneo (da una parte l’Iran, insieme a Iraq e Siria, dall’altra parte Arabia Saudita, Qatar e Turchia); l’altro aspetto, strettamente legato ai due schieramenti in campo, riguarda lo scontro religioso tra sunniti e sciiti, e i loro rispettivi partner in Occidente, come avviene per tutti i conflitti islamici nel mondo. Di fatto sul territorio siriano stiamo assistendo a un conflitto di carattere religioso interno all’Islam, che però vede coinvolti i governi occidentali per questioni economiche.
Il compito dei cristiani in Siria.
In tutto questo, la popolazione siriana sta vivendo a tutt’oggi un dramma del quale si fa fatica a vedere la fine. La Siria, dopo questi tre anni di guerra civile, di uccisioni, di faide, di soprusi, è un Paese in cui, a tutti gli effetti, il tessuto sociale è stato distrutto; il Nunzio apostolico a Damasco, Mons. Mario Zenari, ha dichiarato che “la piaga più terribile attualmente è la diffusione dell’odio tra le famiglie, i gruppi, le etnie, e sembra impossibile che si possa poter tornare a vivere insieme. I Cristiani in Siria hanno proprio il compito di testimoniare la possibilità del perdono e la possibilità della riconciliazione”.
Anche il Patriarca di Antiochia Gregorio III Laham ha espresso lo stesso convincimento a Papa Francesco: “il nostro compito in Siria è la riconciliazione, è quello di far tornare insieme la popolazione, perché dei cristiani si fidano tutti”. Il Patriarca Gregorio ha anche chiesto che al più presto si apra il processo di canonizzazione per i tre ragazzi uccisi a Maaloula lo scorso Settembre dai fondamentalisti perché non hanno voluto abiurare, tre martiri uccisi proprio in odio alla fede.
Ci uniamo al Santo Padre nella preghiera perché la Conferenza di pace possa rapidamente portare a una conciliazione tra le parti in modo che questa guerra abbia fine; preghiamo per i cristiani in Siria, per il compito così arduo che li attende in un Paese devastato dall’odio, e ci uniamo alla richiesta espressa da Padre Cervellera, sollecitando tutti coloro che possono a dare un aiuto anche materiale a queste popolazioni, attraverso contributi alle associazioni umanitarie che operano in Siria (Caritas Internazionale).