Massimo Introvigne sarà nella diocesi Ambrosiana giovedì 6 marzo per una conferenza dal titolo “Il segreto di Papa Francesco”, organizzata dal Centro Culturale Camporicco (Cassina de’ Pecchi, alle 21 presso la sala Consigliare). Abbiamo approfittato dell’occasione per intervistarlo. Inanzitutto una doverosa presentazione.
Massimo Introvigne, sociologo delle religioni di fama internazionale, insegna Sociologia dei movimenti religiosi presso la Pontificia Università Salesiana di Torino ed è segretario dell’APSOR (Associazione Piemontese di Sociologia delle Religioni). È reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica, e autore di sessanta volumi, tra cui l’ultimo volume “il segreto di Papa Francesco” e di oltre cento articoli pubblicati in riviste accademiche internazionali sulla nuova religiosità, il pluralismo religioso contemporaneo e il Magistero pontificio. È fondatore e direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. Nel 2011 è stato Rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni. Dal 2012 è coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa promosso dal Ministero degli Esteri italiano e da Roma Capitale. Collabora con Cristianità (organo ufficiale di Alleanza Cattolica) e con La Nuova Bussola Quotidiana. Suoi articoli sono apparsi anche su Avvenire, Libero, il Giornale, il Foglio e La Stampa.
Massimo, occorre del tempo per adattarsi e rielaborare i cambiamenti della vita, e i nuovi pontificati non sfuggono a questa “regola grammaticale”. Papa Francesco si è subito presentato al mondo con una personalità ben delineata assolutamente discontinua rispetto a Benedetto XVI. Francesco è indubbiamente proiettato all’annuncio, Benedetto XVI sarà forse ricordato come il Papa della Bellezza, dell’armonia dottrinale e liturgica, insomma due sensibilità diverse.
La regola dell’«ermeneutica della riforma nella continuità», enunciata da Benedetto XVI a partire dal 22 dicembre 2005 per la corretta interpretazione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, non vale solo per i Concili, ma per tutto il Magistero. Lo spiega lo stesso Benedetto XVI nell’enciclica «Caritas in veritate», dove invita a interpretare il Magistero sociale del venerabile Paolo VI, che potrebbe apparire in contraddizione con aspetti del Magistero sociale precedente, secondo questa ermeneutica. Attenzione, però. Sono ben consapevole che talora Benedetto XVI ha usato anche la formula, per così dire, breve «ermeneutica della continuità», però dal contesto è sempre evidente che la formula che permette di comprendere il suo insegnamento con precisione è «ermeneutica della riforma nella continuità». Da una parte la Chiesa è «semper reformanda» e continuamente introduce elementi di riforma, talora vere e proprie cose nuove (novum) e non solo cose vecchie dette in modo nuovo (nove), e questo «novum» va accettato con lealtà, anche quando a prima vista appare in «discontinuità» con il Magistero precedente. L’espressione «apparente discontinuità» nel discorso fondamentale del 22 dicembre 2005 non a caso Papa Ratzinger la riferisce al caso difficile della Dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio. Dall’altra parte, mentre invita ad accettare con lealtà e obbedienza la riforma, Benedetto XVI ci chiede anche d’interpretarla non «contro» il Magistero precedente ma tenendo conto di questo Magistero. Talora è difficile – il discorso del 22 dicembre 2005 lo mostra – ma è questo lo sforzo del buon cattolico. Nell’ultimo saluto da Papa ai parroci romani, del 14 febbraio 2013, Benedetto XVI non ha dichiarato fallita l’ermeneutica della riforma nella continuità, come ha sostenuto qualche bello spirito, ma ha dichiarato fallito il tentativo di manipolarla rifiutando la riforma in nome della continuità ovvero rifiutando la continuità in nome della riforma. In quel discorso afferma che nel Concilio, anche a causa del lavoro dei vescovi e teologi della «Alleanza renana» (francesi, tedeschi, belgi, olandesi) di cui lo stesso Joseph Ratzinger al Vaticano II era esponente, furono introdotte elementi di riforma talora davvero radicali: vanno sia accettati, sia interpretati «nella continuità». Tutto questo per dire che il principio ermeneutico della «riforma nella continuità» deve governare anche la lettura del Magistero di Papa Francesco. Siamo chiamati ad accettare lealmente la riforma (che c’è) e a interpretarla mostrando gli elementi di continuità con il Magistero precedente. Che ci sono: per esempio, in tema di bellezza, la «Evangelii gaudium» condanna il «relativismo estetico» e afferma che la vera bellezza è oggettiva, in perfetta continuità con Benedetto XVI.
Spesso si mette in contrapposizione il primo annuncio (Kerigma) con l’apologetica, e secondo la vulgata mediatica Papa Francesco per la missione sarebbe disposto a mettere da parte l’aspetto apologetico della fede. Ti sembra un ragionamento corretto o piuttosto il quadro di riferimento in cui si muove il Santo Padre è più ampio?
Diciamo le cose come stanno. Io credo che qui si voglia parlare, al di là delle cautele e delle metafore, di un tema preciso: la famiglia. Soprattutto: l’ideologia di genere, i diritti concessi in alcuni Paesi dalle leggi ai conviventi, il «matrimonio» omosessuale. Nell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium», Papa Francesco scrive: «Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori». Sembra, dal testo stesso dell’esortazione apostolica e da interventi successivi, che Papa Francesco ritenga che spetti al Papa intervenire sull’aborto, perché lo scandalo dei milioni di aborti nel mondo «grida vendetta al cospetto di Dio». Non è, invece, detto esplicitamente, ma da riferimenti nelle note dell’esortazione apostolica a documenti dei vescovi degli Stati Uniti e della Francia sembra proprio che Papa Francesco, tra le materie su cui preferisce che siano gli episcopati locali a parlare, includa la tematica dell’ideologia di genere e del «matrimonio» omosessuale. Negli stessi passaggi, il Papa raccomanda pure ai vescovi d’intervenire per la difesa della famiglia e del «contributo indispensabile del matrimonio alla società» collaborando con fedeli di altre religioni e con altri cittadini di buona volontà. Infine afferma che devono intervenire non solo i vescovi ma anche i laici, cui spetta la diaconia sociale e politica.
Ci si può interrogare sul possibile esito delle strategie pastorali di Papa Francesco in questo campo senza mancare di rispetto al Papa. Le strategie non sono Magistero, neppure ordinario. Gli argomenti di chi ritiene che, di fronte all’aggressione dell’ideologia di genere, sarebbe talora più persuasiva una parola diretta e personale del Papa non sono irragionevoli. D’altro canto, non si deve neanche ritenere che tutti gli episcopati locali si nascondano dietro il silenzio pontificio per tacere a loro volta, il che non è quanto insegna la «Evangelii gaudium». In Polonia, Portogallo, Slovacchia i vescovi hanno pubblicato vigorosi documenti contro l’ideologia di genere, che noi facciamo e faremo conoscere tramite «Cristianità». Contro l’indottrinamento all’ideologia di genere nelle scuole hanno preso posizione i vescovi del Triveneto e della Toscana. Soprattutto, la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti non si è limitata a firmare documenti, ma ha chiamato a raccolta altre quattro confessioni religiose – i Battisti del Sud e i Luterani del Sinodo del Missouri, cioè rispettivamente i battisti e i luterani conservatori (ma i Battisti del Sud hanno sedici milioni di fedeli e sono la più grande comunità protestante americana), i Mormoni e l’Associazione Nazionale degli Evangelici, che riunisce quaranta denominazioni, fra cui quelle pentecostali più grandi, che non aderiscono al Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra considerandolo troppo progressista – ed è intervenuta in una causa. È quella dove i governatori dello Utah e dell’Oklahoma fanno appello contro decisioni di giudici federali che annullano i risultati dei referendum, che nei loro Stati hanno visto prevalere i «no» al «matrimonio» omosessuale, e ingiungono di celebrare i «matrimoni» fra persone dello stesso sesso. Insieme, le cinque religioni intervenute nella causa rappresentano la maggioranza degli americani religiosi.
Negli Stati Uniti la Conferenza Episcopale ha fatto esattamente quanto prescrive l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium»: ha parlato – con un atto giuridico, dopo averlo fatto con documenti dottrinali – su materie di cui il Papa non parla, e ha raccolto attorno a sé una vasta coalizione di credenti di altre confessioni e religioni. Non è detto che la strategia che prevede su questi temi una delega totale dal Papa ai vescovi e ai laici cattolici sia necessariamente la più efficace. Ma i vescovi americani ci dimostrano che rimboccarsi le maniche, prendere atto delle direttive pontificie e scendere in campo, cercando anche alleati significativi, serve di più che scrivere lettere al Papa per farsi rispondere ormai per la centesima volta che la strategia è quella, ovvero rimanere chiusi in casa o negli episcopi a cercare nelle parole di Papa Francesco qualche pretesto valido per non far nulla. Una volta i portuali di Genova – o così me l’hanno raccontata -avevano dei contratti che prevedevano un «diritto di mugugno»: potevamo protestare, ma per qualche minuto e poi dovevamo rimettersi a lavorare. Credo che dovrebbe essere la nostra strategia: diritto a cinque minuti di mugugno se abbiamo dubbi sulla strategia, ma poi il resto della vita passiamolo a fare quello che i vescovi e laici impegnati sono invitati dal Papa a fare. Le Sentinelle in piedi e Sì alla famiglia, per esempio, stanno mobilitando in tutta Italia migliaia di persone, e moltissimi giovani, i quali anziché continuare a protestare perché il Papa non parla di certi argomenti vanno in piazza e ne parlano loro. Dunque: cinque minuti di mugugno se proprio si vuole, e poi andiamo a lavorare.
La scuola controrivoluzionaria si fonda su due pilastri gerarchicamente ordinati: il magistro della Chiesa e il giudizio sulla storia, ordinati dal magistero del Papa. Con Papa Francesco la questione si fa “complicata”. Aiutaci a capire.
La verità è che si è fatta subito complicata. Quando Joseph de Maistre enuncia la duplice tesi che fonda la scuola contro-rivoluzionaria – seguiamo il Papa, non solo perché in certe cose è infallibile ma anche nella sua guida ordinaria non infallibile, e applichiamo la griglia della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione alla storia e all’attualità – non gli passa neppure per la testa che il Papa possa non applicare la stessa griglia ai problemi che la Chiesa si trova di fronte. I problemi iniziano già quando a Gregorio XVI succede il beato Pio IX, e non parlo solo del «primo» Pio IX, scambiato per rivoluzionario e presentato dai rivoluzionari come tale. Se uno legge i diari dell’ultimo principe contro-rivoluzionario europeo, Enrico V conte di Chambord, scopre che quando andava nella Roma del beato Pio IX si accorgeva che il clima era cambiato rispetto a Gregorio XVI e che per sostenere la Contro-Rivoluzione e la monarchia tradizionale magari si usavano ancora delle belle parole ma non c’erano più la passione e il cuore. Non parliamo poi del passaggio dal beato Pio IX a Leone XIII, scambiato per socialista e protagonista del «ralliement» dei cattolici francesi alla Repubblica. O di quello da san Pio X a Benedetto XV e poi a Pio XI. Di quello dal venerabile Pio XII al beato Giovanni XXIII comincio ad avere qualche ricordo almeno di racconti dei più vecchi, c’ero ma ero un bambino. Fu un grande trauma, soprattutto nello stile e nel tratto di Papa Giovanni, così diversi da quelli di Papa Pacelli. Dunque i contro-rivoluzionari hanno dovuto imparare l’ermeneutica della riforma nella continuità molto prima dell’arrivo di Papa Francesco. Alcuni non l’hanno imparata. C’è stato chi ha sacrificato la continuità in nome della riforma, ed è uscito dalla scuola propriamente contro-rivoluzionaria per diventare, sostanzialmente, democristiano all’epoca di Leone XIII e del «ralliement». E chi ha sacrificato la riforma in nome della continuità, uscendo dalla scuola contro-rivoluzionaria e poi anche dalla comunione con Roma, per esempio ribellandosi alla pubblicazione da parte di Pio XI della condanna dell’Action Française ovvero seguendo mons. Lefebvre. Tutta questa storia complicata mostra che tenere insieme fedeltà al Magistero ordinario e non infallibile del Papa – quello straordinario e infallibile è rarissimo, non sta certo lì il problema -, chiunque sia il Papa, e griglia di lettura contro-rivoluzionaria della storia non è mai stato facile. Però la Contro-Rivoluzione è questa: sono queste due cose insieme. Se ne togliamo una, la Contro-Rivoluzione non c’è più. Come cattolici, poi, dobbiamo sempre ricordare che il Magistero media fra tante scuole cattoliche di pensiero, e che il Magistero è più importante delle scuole. Dunque prima seguiamo il Magistero e poi la scuola contro-rivoluzionaria, cui pure siamo tanto affezionati. E se proprio su un punto dovessimo trovare una contraddizione, seguiremmo il Magistero – parlo sempre di quello ordinario – a preferenza della scuola.
Perchè, secondo te, questo Papa riesce a far breccia in tanti cuori, la sua esperienza come gesuita e come confessore può spiegare in parte questa sua dote?
Qui veniamo a un punto che come sociologo mi sembra tanto evidente quanto, in alcuni ambienti, incredibilmente trascurato. Questi problemi della continuità con il Magistero precedente sono reali ma su un miliardo e più di cattolici interessano a un numero percentualmente infimo di persone (lo dico senza alcun disprezzo perché nel numero infimo ci sono anch’io). La stragrande maggioranza dei fedeli segue il Papa, è commossa, è entusiasta. Attenzione: questa maggioranza di fedeli non segue neanche «Repubblica» o qualche altro giornale nello schema «Papa Francesco buono – Papa Ratzinger cattivo». Si ė commossa anche per la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI. E si commuove oggi perché a persone in maggioranza analfabete in religione Papa Francesco ricorda quelle poche cose essenziali sulla bontà, la misericordia e l’affetto di Dio nei nostri confronti. Fiumi di misericordia, che peraltro nel discorso di Papa Francesco sfociano in un luogo preciso: il confessionale. C’è un annuncio continuo della Confessione. È uno schema molto semplice ma – visto il successo – adatto a moltissime persone che proprio dalle cose più semplici devono ripartire, perché non le conoscono più. Qui si riconosce la pedagogia gesuita degli «Esercizi Spirituali»: non nel senso che il Papa voglia imporre la spiritualità gesuita come unica a tutta la Chiesa, credo anzi sia attento a non farlo, ma nel senso che mette a frutto quanto ha imparato confessando – ha confessato tantissimo – e dando Esercizi per proporre una grande meditazione e un corso di esercizi spirituali (con la minuscola, appunto perché sono in questo caso universali e non solo ignaziani) al mondo intero.
Michelangelo Longo