Un anno fa, il 14 marzo 2013, il senatore del Kentucky Ron Paul, Repubblicano, depositò la proposta di legge S.583. È comunemente nota come “Life at Conception Act”. A norma del XIV Emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti, chiede la protezione del diritto inalienabile alla vita di cui gode ogni cittadino americano già o non ancora nato. La proposta del senatore Paul non prevede un nuovo emendamento alla Costituzione americana o una nuova interpretazione del suo testo: è la semplice applicazione del suddetto emendamento, il quale pure autorizza il Congresso di Washington – l’organo legislativo del Paese – a farne rispettare le provvisioni.
Il XIV è uno degli Emendamenti costituzionali più famosi e controversi di tutta la storia giuridica statunitense. Venne introdotto dopo la Guerra di Secessione (1861-1865) – proposto il 13 giugno 1866 e ratificato il 9 luglio 1868 –, durante la cosiddetta Ricostruzione (1863/1865-1877). Al di là della sua genesi, afferma princìpi assolutamente decisivi. In particolare, estende la cittadinanza statunitense a tutte le persone nate o naturalizzate americane, garantisce a ogni cittadino il diritto a processi equi davanti a tribunali eretti a norma di legge e stabilisce che nessun Stato dell’Unione può privare un cittadino americano di un’equa protezione giuridica. Semplice, ma i problemi iniziano proprio qui.
Infatti, se all’epoca questa legislazione sul diritto di cittadinanza fu invisa a chi riteneva di “serie B” gli ex schiavi, in seguito è stata la nemica giurata del mondo cosiddetto pro-choice che se l’è vista impugnare come uno scudo a tutela della vita umana nascente. Ma se di per sé quanto viene invece ivi stabilito a proposito del giusto processo è identico a quanto già da tempo sancito dal V Emendamento, salvo estendere a tutti gli Stati dell’Unione quanto già imposto al governo federale, è proprio paradossalmente nel “processo giusto” che il diritto alla vita ha trovato il nemico.
Nella seconda metà del Novecento, infatti, la clausola sul “processo giusto” è stata progressivamente utilizzata per tutelare anche i contratti privati. Da qui a vedere un diritto alla privacy insito nella concezione che presiede il diritto privato è stato un attimo; e meno ancora è servito al giudice Harry A. Blackmun (1908-1999) per decidere, a nome della maggioranza dei giudici della Corte Suprema federale a conclusione del caso “Roe v. Wade” del 1973, che la gravidanza di una madre è un affare prettamente di privacy e che quindi la legge non può interferirvi, ovvero che l’aborto, come appunto successe allora, va legalizzato.
L’esistenza di questo presunto diritto alla privacy, però, è una interpretazione perfettamente arbitraria; nessun testo costituzionale lo contempla. Il testo costituzionale, invece, proprio nel XIV Emendamento, contempla una concezione ampia della cittadinanza americana che per di più prevede esplicitamente per tutti i cittadini la protezione garantita loro dalle leggi americane e il diritto, eventualmente, a subire un processo equo. Quali sono le protezioni garantite dalle leggi dal diritto processuale e dai tribunali statunitensi di cui tratta il XIV Emendamento? Proprio quelli esplicitati nel XIV Emendamento stesso: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti, e perciò soggetto alla loro giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato approverà o implementerà alcuna legge che possa ridurre i privilegi e le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né alcuno Stato priverà qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza adeguato processo giuridico; né entro la propria giurisdizione negherà ad alcuna negherà pari protezione giuridica». Anzitutto il diritto alla vita. Come testualmente già è scritto nel V Emendamento, e come già è da secoli affermato in quell’antichissima, veneranda e britannica Magna Carta del 1215, al n. 39, che il diritto americano venera come un testo sacro.
Proponendo il “Life at Conception Act”, dunque, il senatore Paul intende portare l’attenzione della legge americana sul fatto che, cominciando ogni vita dal concepimento (come attesta la scienza), quindi in specifico iniziando la vita umana sin dal concepimento di un feto, l’essere umano che ancora sta nel grembo di sua madre è già pienamente cittadino americano e dunque pienamente titolato ai diritti che comporta l’esserlo, in particolare ciò che è chiaramente sancito dal XIV Emendamento (e prima ancora dal V, e prima ancora dalla Magna Carta). Se nei meandri del XIV Emendamento, e nascosta fra le righe delle sue clausole, dovesse del resto mai annidarsi per gli americani un diritto umano alla privacy (ma non c’è), questo diritto di natura alla non-interferenza da parte dello Stato o di chicchessia coinciderebbe anzitutto e soprattutto con il godere della vita umana, dei benefici della cittadinanza americana e dei diritti positivi che tutto ciò comporta.
Un bambino americano nel ventre di sua madre, spiega il senatore Paul, è insomma titolato alla piena protezione della legge americana, la quale inizia proteggendo il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Come del resto ricorda opportunamente il senatore Paul, le parole del XIV e del V Emendamento sono quelle che compaiono nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti (e che riecheggiano la Magna Carta): «Consideriamo verità evidenti per sé stesse che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono stati dotati dal loro Creatore di taluni diritti inalienabili; che, fra questi diritti, vi sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità». Ovvero, dice il senatore Paul, «il diritto alla vita è garantito a tutti gli americani nella Dichiarazione d’Indipendenza e assicurare che esso venga difeso è dovere costituzionale di ogni membro del Congresso».
Il “Life at Conception Act” attende in Congresso di essere approvato. Il senatore Paul ne ha fatto una battaglia decisiva della propria azione parlamentare. Se venisse approvato, renderebbe obsoleta e illegittima la sentenza nel caso “Roe v. Wade” e la conseguente legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti: non attraverso un colpo di mano (come invece fu per quella famigerata sentenza del 1973), ma per fedeltà piena alla legge fondamentale del Paese. Non male per un uomo come Paul: ovvero per un oftalmologo presbiteriano prestato alla politica che, come suo padre – il ginecologo prestato alla politica Ron Paul, più volte candidatosi alla Casa Bianca –, incarna la quintessenza di quello spirito libertarian che da noi è ancora sciagurato vizio confondere con il “libertarismo” dei Radicali, che è un beniamino dei Tea Party, che è più culturalmente conservatore di molti soi-disant conservatori e che da sempre si batte per difendere le vere libertà della persona, vale a dire quelle – lo dice e lo ripete lui – di natura economica da non disgiungere mai da quelle morali.
Marco Respinti