Durante l’intervallo tra una lezione e l’altra, cinque studenti (età dai 15 ai 18 anni) dell’istituto tecnico Galileo Galilei di Milano fumano uno spinello. Rientrati in classe, quattro di loro si sentono male e finiscono all’ospedale, una ragazza addirittura in codice rosso, avendo perso i sensi. La droga era stata portata nella scuola da una ragazzina di 15 anni.
La notizia, riportata nelle pagine interne dei giornali locali, è stata presto dimenticata. In prima pagina dei quotidiani vengono pubblicati gli articoli di chi chiede a gran voce la liberalizzazione delle droghe c.d. leggere (ad es. il professor Veronesi, su Repubblica del 20 febbraio 2014).
E’ incredibile: proprio quando la scienza spiega sempre più chiaramente i rischi della cannabis, e episodi di cronaca come quello dell’istituto milanese confermano questa tesi, ancora si spinge per la sua irresponsabile liberalizzazione. L’occasione per parlarne viene dalla bocciatura della legge cosiddetta “Fini-Giovanardi” del 2006 da parte della Corte Costituzionale. Peraltro, la bocciatura è dovuta a motivi formali, e non sostanziali, e non sono ancora chiare le conseguenze per la legislazione italiana. Ma questo è bastato per fare ripartire il solito circo di chi vuole la liberalizzazione. Mario Staderini, esponente dei Radicali italiani, durante la trasmissione UnoMattina, ha affermato che “le famiglie devono educare i figli all’uso di sostanze stupefacenti” e “le mamme devono stare attente a chi è contrario alla legalizzazione” (25-2-2014).
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, il 13 febbraio in occasione di una conferenza in Campidoglio si è detto convinto “che dovremmo andare verso una liberalizzazione importante delle droghe leggere quali hashish e marijuana“. Marino ha poi aggiunto che: “Se avessi un figlio adolescente che vuole utilizzare marijuana trovo molto più sicuro che abbia una piantina a casa che andare a cercare un prodotto contaminato“. Forse il sindaco Marino, invece di incoraggiare il figlio a dedicarsi a questa particolare branca della botanica, dovrebbe conoscere l’origine della parola “assassino”: deriva dalla parola araba “hashischin”, cioè “fumatore di hashish”. Gli “hashischin” erano i membri di un crudele clan musulmano: la droga ottenebrava la loro coscienza portandoli a commettere crimini senza provare alcun rimorso.
Nessuno vuole parlare del disagio giovanile, una vera periferia esistenziale, per usare un’espressione cara a Papa Francesco, frutto di quella che Plinio Correa de Oliveira chiama Quarta Rivoluzione. La nota dominante di tale fase rivoluzionaria, che viene dopo la fase religiosa, politica ed economica, è costituita dall’aggressione diretta contro l’uomo, non più radicato nelle convinzioni religiose e non più sostenuto dalle molteplici relazioni familiari, professionali, sociali e politiche. L’uomo colpito dalla Rivoluzione si lascia tentare facilmente dalle droghe, a causa della destrutturazione della personalità, dell’annientamento della ragione e del prosciugamento della volontà, resa imbelle di fronte alle sollecitazioni sensoriali. Droga e rivoluzione sessuale sono i due itinerari privilegiati lungo i quali si è consumato questo attacco all’uomo. E’ diventata patrimonio di troppi, sotto la pressione massmediatica del relativismo e del libertinismo, l’idea che la libertà dell’uomo debba essere assoluta, e non correlata al bene individuale e comune: la vita, la salute, la dignità, la fedeltà, l’onore, la laboriosità, la solidarietà sarebbero optional che ciascuno potrebbe scegliere nel libero mercato dei valori, dopo aver provato qualsivoglia esperienza.
In questo contesto, la legge deve accontentare e agevolare tutti i nostri desideri e capricci.
Richard Neville, uno dei profeti della cultura della droga negli anni Settanta, invita a «sgusciare fuori dalla “camicia di forza” della ragione Aristotelica». Gli sta antipatico Aristotele? Sì, come simbolo della cultura che prevede l’uso retto della ragione, l’idea che esista una verità, un ordine delle cose oggettive ed immutabile che la ragione è in grado di conoscere. Si proclama la morte della ragione, dell’uomo ordinato e pensante. E’ il trionfo del relativismo.
I teorici della Marijuana Review proclamano che «il problema della marijuana è una guerra civile culturale in cui il modo di pensare tradizionale, conformista e conservatore – morale, etico e religioso – urta contro la nuova coscienza, planetaria, dinamica, globale, espansa».
Il possibile rimedio
Il Pontificio Consiglio per la Famiglia ricorda che: “La droga non entra nella vita di una persona come un fulmine a ciel sereno, ma come un seme che attecchisce in un terreno da lungo tempo preparato”. Il vero problema da affrontare è la malattia dello spirito che conduce alla droga, come ricorda il Papa Giovanni Paolo II: “Bisogna riconoscere che esiste un nesso fra la patologia letale provocata dall’abuso di droghe e una patologia dello spirito che porta la persona a fuggire da se stessa e a cercare soddisfazioni illusorie in una fuga dalla realtà, al punto di annullare completamente il significato della propria esistenza”.
Possiamo tristemente constatare che la società spesso abbandona i giovani e non fornisce tutti gli elementi culturali e religiosi per permettere lo sviluppo delle loro personalità. Come reazione di fronte a un mondo che sembra vuoto, considerando il loro avvenire senza ideali e prospettive, i ragazzi cercano stimoli eccitanti.
E allora che fare? Per combattere la droga ci vogliono buone leggi, bisogna sostenere i centri di recupero, ma ci vuole soprattutto una restaurazione del buon senso, dell’intelligenza, un’operazione culturale a tutto campo, con il contributo di tutti: soprattutto di coloro che hanno responsabilità educative. Bisogna trasmettere ai giovani valori ed ideali. L’aveva capito bene Giovanni Paolo II, istituendo le Giornate Mondiali della Gioventù.
All’inquietudine del drogato bisogna rispondere con la nostra pace, la nostra serenità, l’esempio di temperanza e di gioia del vivere secondo ragione. Le iniziative giovanili di Alleanza Cattolica, le Comunità di Destino che nascono in tante città vanno proprio in questa direzione: presentare ai ragazzi le linee maestre di una vita orientata al compimento della vocazione universale al vero, al buono e al bello.
Susanna Manzin