Il 27 aprile, festa della Divina Misericordia istituita proprio da Giovanni Paolo II, la Chiesa eleverà agli onori degli altari due papi che con i loro pontificati hanno plasmato il volto dell’ultimo secolo dello scorso millennio. In questi giorni i postulatori della causa di canonizzazione, ovvero padre Giovan Giuseppe Califano per Giovanni XXII e il presbitero polacco Slawomir Oder per Giovanni Paolo II, hanno spiegato le caratteristiche della loro santità. La Chiesa è vicina a celebrare un evento unico che testimonia come, di fronte ad un mondo sempre più sordo e ostile nei confronti della cattedra di Pietro, lo Spirito Santo si fa visibile dove è più necessaria la sua forza.
Ciò che caratterizza la vita di san Giovanni XXIII è stata la sua continua ricerca della santità, spiega padre Califano. La santità è stato un proposito coltivato in ogni momento della sua vita fin dall’adolescenza: «Già da giovane seminarista, a 15 anni, scriveva: ‘Io rinnovo il proponimento di volermi fare santo davvero, e lo farò attraverso quattro risoluzioni che propongo di praticare: spirito di unione con Gesù, raccoglimento nel suo cuore, recita del Rosario, essere sempre in tutte le mie azioni presente a me stesso».
Una gigantesca figura di santo, continua padre Califano, che ruota attorno a due binomi: pastore e padre, obbedienza e pace. Come pastore e padre Giovanni XXIII produsse frutti di cui si cibò soprattutto la Chiesa: «Aprì alla Chiesa nuovi orizzonti con l’indizione del Sinodo per la diocesi di Roma e il Concilio ecumenico. Fu capace di comunicare, prediligendo forme semplici e immediate, con immagini tratte dalla vita quotidiana, riuscendo ad entrare subito nel cuore delle persone». Ciò gli valse l’appellativo di “papa buono” che però, aggiunge ancora il postulatore, va letto secondo le indicazioni di Paolo VI: «Non era un generico buonismo di facile applicazione, ma era sinonimo di amore, di genio pastorale, di comprensione, di perdono, di conforto. In pratica, come appare Gesù nel Vangelo». Il secondo binomio riprende il motto episcopale di papa Giovanni XXIII. Un’obbedienza che, ricorda padre Califano, gli consentì di abbandonarsi totalmente alla Divina Provvidenza: «Qui si trova la radice della sua santità: nella obbedienza evangelica alla voce del suo Signore».
Mons. Oder ricorda che l’aura di santità è percepita per Giovanni Paolo II già dai suoi compagni di università quando nella sua stanza appesero un foglietto con scritto: “futuro santo”. La peculiarità del papa polacco è stata sempre la sua incredibile sete di preghiera: «E la profondità mistica lo spingeva a vivere il mistero di Dio in prima persona. E questo è il cuore di santità di Giovanni Paolo II. Se noi dovessimo cercare veramente la parola che caratterizzi un “santo”, è quello: “uomo di Dio”. Era un uomo che ha saputo trovare in Dio la fonte della vita. La preghiera per lui era il respiro, l’acqua, il pane quotidiano».
Ricorda infine mons. Oder l’ infaticabile lavoro apostolico che caratterizzò il pontificato di Wojtyla: «come compito della Chiesa – ripeteva Giovanni Paolo II – è evangelizzare e portare tutti alla santità. Se in giovinezza Giovanni Paolo II aveva appreso il messaggio della Divina Misericordia – chiarisce mons. Oder – importante per lui fu il dovere di pagare il debito d’amore ricevuto. Questa è la chiave per capire tutta la sua vita».
La loro vita e la loro missione impressa per sempre nella storia della Chiesa ora vivrà anche nel culto universale di tutti i fedeli.
Michele Canali