A 100 anni dalla morte (20 agosto 1914) di Papa S. Pio X (1835-1914), al secolo Giuseppe Sarto, lo storico Oscar Sanguinetti rivisita la sua figura offrendo sia un profilo biografico sintetico, dai campi di Riese ai saloni vaticani, sia tratteggiando un quadro esaustivo del contesto storico in cui il pontificato si svolse, specialmente nei suoi sostrati geopolitici e filosofici.
Il pregio fondamentale del volume è proprio questo sguardo ampio, che torna alla Rivoluzione francese per mostrare come proprio ad inizio Novecento stesse avvenendo un cambio di paradigma nella Modernità, che lasciava le forme più rigide e violente del razionalismo per aprire varchi nell’irrazionale e nell’individualismo (è l’epoca, per esempio, di Sigmund Freud). Ciò non vuol dire che il filone chiamato “hard” della cultura laica stesse mollando la presa: l’utopia di creare una società perfettamente ordinata secondo paradigmi ideologici estranei al Vangelo era ancora la bandiera della massoneria e dei governi laicisti e, presto, avrebbe originato i mostri dei totalitarismi. Tuttavia, si stava facendo largo nell’intellighentsia una certa insofferenza per le predeterminazioni razionali. Il primo Novecento segna il culmine dello spiritismo e delle sette segrete. Sanguinetti si spinge a descrivere come le due tendenze si scontreranno e si amalgameranno lungo tutto il XX secolo, avendo, però, sempre il magistero pontificio come puntuale controcanto.
In quest’ottica si recupera l’oggettività del magistero di Pio X, il cui pontificato, che si svolge dal 1903 al 1914, attraversa il periodo d’incubazione della Prima guerra mondiale, durante la quale tutti i nodi ideologici e nazionalistici del tardo Ottocento verranno al pettine. Papa Sarto era uomo di formazione asburgica e vicino ai cattolici “intransigenti”, ovvero a coloro che denunciavano il carattere anticattolico dello Stato italiano, formatosi nel Risorgimento tramite espropri forzosi ai danni della Chiesa. In particolare, Sanguinetti sottolinea i debiti nei confronti del pensiero del cardinale francese “ultramontano” Louis Edouard Pie (1815-80), si può dire il suo vero maestro spirituale.
Proprio questo sostrato filosofico, oltre all’estraneità all’ambiente di Curia, più favorevole al compromesso, lo rese libero da condizionamenti partitici e gli fece comprendere come l’epoca della Cristianità fosse ormai qualcosa di irrimediabilmente lontano dalla realtà politica e sociale del 1903. Libero, quindi, di procedere perfino a riforme pastorali di primaria importanza come l’abbassamento dell’età della prima Comunione, l’estensione di catechismi popolari per bambini ed adulti, il riordino della musica sacra e del calendario liturgico romano, che fecero superare alla Chiesa le sacche di giansenismo settecentesco ancora sopravviventi. Il modello della Cristianità medievale rimane sullo sfondo come obbiettivo mai abbandonato, ma comincia a farsi strada la consapevolezza che la civiltà cristiana del futuro dovrà avere a che fare con un uomo molto diverso da quello del XIII secolo.
Nell’epoca della Triplice Alleanza, Pio X mantenne un atteggiamento equidistante, seppur provando un’innata simpatia per le dinastie cattoliche maggiormente fedeli all’antico ideale della monarchia cristiana (leggasi Asburgo). Ciò gli permise di affrontare con determinazione la legge di separazione francese del 1905 senza alcun timore di veder impoverita la Chiesa di Francia dei suoi beni materiali, ma anche di avallare in Italia l’operazione clerico-moderata (Patto Gentiloni del 1913), ovvero impegnare i liberali meno laicisti in un fronte comune contro la crescente minaccia socialista. La Santa Sede del 1914 apparirà forse più isolata di quella di Leone XIII (1878-1903) sullo scacchiere internazionale, ma le riforme piane avranno reso più forte la base ecclesiale alla vigilia di sconvolgimenti planetari duraturi. Il laicato cattolico di Pio XI (1922-39) e Pio XII (1939-58), cioè del cuore “caldo” del Novecento, deve molto al reset di Papa Sarto.
Nel lavoro di Sanguinetti si compenetrano, secondo la prefazione di mons. Roberto Spadaro SDB, rigore scientifico e devozione personale al santo. Sanguinetti si smarca sia dagli adulatori postumi che dai detrattori pregiudizievoli. Pio X è stato un’altra vittima illustre dello sbandamento dottrinale e disciplinare del Post-concilio (1965-78): i tradizionalisti l’hanno idolatrato fino a sfigurarlo, tanti altri storici con la pretesa della “scientificità” hanno, in realtà, veicolato le tesi dei modernisti, mentre la stessa lotta senza quartiere al modernismo è da leggersi, secondo l’autore, come un momento di purificazione da una malintesa idea della Modernità e della Fede.
Qui viene fuori anche la militanza decennale di Sanguinetti in Alleanza Cattolica, dove ha imparato a definire “Rivoluzione” il processo di sgretolamento della Cristianità europea e a consideralo un magma sempre in movimento da maneggiare con molta cautela. Non teme, peraltro, di citare esplicitamente in nota autori e testi associativi, conoscendone il grado di scientificità. Le conclusioni del volume giungono volutamente ai giorni nostri per mostrare come la dimensione sociale della Fede e la necessità dell’ortodossia non siano aspetti estranei neppure al Cattolicesimo contemporaneo, a meno che, come i modernisti del Primo Novecento e i “progressisti” del Secondo, non si pensi che la via alla sopravvivenza nel mondo post-moderno corrisponda ad un semplice adeguamento alla mentalità dominante.
Il Pio X di Oscar Sanguinetti si presenta, quindi, come un agile vademecum a quell’epoca di transizione che fu la Belle Epoque, ma anche come exemplum per un’epoca analoga come sembra essere la nostra. Un’opera documentatissima, in grado di determinare un nuovo filone d’indagine a livello della comunità scientifica, con in più quella piccola dose di “militanza” che permette di assumere una posizione decisa all’interno dello stesso mondo cattolico.