Ha 34 anni e ogni volta che tiene una conferenza pubblica il suo cachet è di 75mila dollari. Non è un magnate dell’industria, una testa d’uovo dell’informatica, un ex capo di Stato, un vip del jet-set e nemmeno una star della televisione. È Chelsea, Chelsea Clinton. Sì, la figlia dell’ex presidente Bill e di Hillary, l’aspirante primo presidente donna del Paese più potente del mondo, che guadagna più di qualsiasi altro conferenziere su piazza: gli ex Segretari di Stato Colin Powell e Madeleine Albright incassano infatti “solo” 50mila dollari a intervento pubblico.
Ora, che gli ex pezzi grossi della politica, presidenti o ministri, girino gli Stati Uniti, e magari il mondo, fatturando cifre enormi per ogni parola che proferiscono in pubblico non è certo una novità. E però gli ex presidenti o gli ex ministri qualcosa da dire in pubblico ce l’hanno sempre, magari talora anche qualcosa d’interessante, se non addirittura d’importante; fino a prova contraria, ex presidenti ed ex ministri hanno svolto funzioni significative, hanno preso parte a incontri al vertice, sono magari entrati qualche volta nella “stanza dei bottoni”, o qualche “bottone” l’hanno addirittura persino schiacciato… Ma una Chelsea Clinton che cosa mai avrà di tanto prezioso, riservato e decisivo da dire ai quattro venti per ben 75mila dollari a botta?
Presumibilmente niente, e dirlo non è affatto temerario.
Chelsea è nata Little Rock, in Arkansas, il 27 febbraio 1980. I suoi l’hanno chiamata così perché avevano una vera e propria adorazione per la canzone Chelsea Morning nella versione incisa nel 1969 da Judy Collins… Da quando ha quattro anni, Chelsea prende lezioni di danza. A scuola dicono sia stata bravina. Ama la pallavolo, il ping pong, i giochi di carte e andare al cinema. Per non farsi mancare nulla, è pure vegana. Quando il padre si è trasferito alla Casa Bianca, c’è andata ovviamente anche lei; nome in codice per i servizi segreti, “Energy”. A Washington ha continuato a prendere lezioni di ballo e qualche volta ha fatto la hostess per eventi organizzati dall’augusto padre-presidente.
All’Università Stanford di Palo Alto, in California, ha cominciato Chimica e Medicina, ma poi è passata a Storia, laureandosi nel 2001. Poi allo University College dell’Università di Oxford, in Inghilterra, ha preso un master in Relazioni internazionali. Nel 2003 è stata la più giovane assunta nella società di consulenze McKinsey & Company di New York, ma nel 2006 è passata all’Avenue Capital Group, sempre di New York, società di fund-raising politico. Fa parte del consiglio di amministrazione della School of American Ballet ed è stata anche copresidente di una raccolta di fondi per l’associazione benefica istituita dal padre, la Clinton Foundation.
Insomma, a meno che non svolga dottissime relazioni sugli aspetti più reconditi del cosiddetto “Accordo del Venerdì Santo” mediante il quale a Belfast, nel 1998, si ottenne il duraturo e sospirato cessate il fuoco tra IRA e governo britannico, perché questo è stato il tema della sua tesi di laurea a Stanford, l’unico titolo per cui Chelsea è già una fantastiliardaria prima ancora di avere compiuto i primi “-anta” è che di cognome fa Clinton. Grullo chi glieli dà, direte. Vero. Ma a questo punto un altro dubbio sorge legittimo. Non è che per caso Chelsea fa da prestanome a mamma Hillary per accumulare quel mare di dollari che servono all’ex First Lady per cercare ancora la scalata alla Casa Bianca nel 2016?
Si è detto infatti che Chelsea è impiegata all’Avenue Capital Group; ebbene, l’Avenue Capital Group, che raccoglie soldi per la politica, fa capo al Democratico Marc Lasry, grande fan di mamma Hillary. Del resto è ben noto l’impegno profuso tra 2007 e 2008 da Chelsea ‒ che nel 2010 ha sposato il banchiere Marc Mezvinsk ‒ a favore della madre durante le primarie per la nomination alla Casa Bianca, allorché Hillary tenne tenacemente testa per un po’ a un ancora poco noto Barack Obama, venendone però prima polverizzata e poi ripescata per la Segreteria di Stato.
Si aggiunga peraltro quello che su questa “famiglia felice” dell’iperprogressismo relativista americano ha messo assieme il Corriere della Sera: «L’ex presidente Bill e sua moglie Hillary in dieci anni hanno incassato 100 milioni di dollari girando il mondo per parlare nelle convention dei colossi bancari, della finanza o dell’industria o in università americane. Il cachet varia tra i 70 mila e i 200 mila dollari a discorso e nel 2013 l’ex presidente da solo ha guadagnato ben 17 milioni. Da quando non è più segretario di Stato dell’amministrazione Obama, Hillary Clinton è sempre impegnata. A ottobre scorso, per fare un esempio, per parlare all’Università di Buffalo ha ricevuto 225 mila dollari, altri 300 mila ne ha avuti a marzo sia dalla Università della California di Los Angeles (Ucla) che da quella di Las Vegas, sempre in cambio di interventi. Gli atenei hanno dichiarato che le spese vengono coperte da donazioni private e che la presenza della Clinton contribuisce ad arricchire la fama delle università e ad aumentare iscrizioni e introiti. Ma il sospetto è che vogliano ingraziarsi i favori di una persona che, probabile candidata alla Casa Bianca, potrebbe anche diventare il primo presidente donna della storia».
E ancora: «“I Clinton continuano ad agire come se tutto ciò di cui hanno cura sia il servizio pubblico disinteressato”, scrive la columnist Maureen Dowd in un pezzo al vetriolo sul New York Times. “Si è passati da due per il prezzo di uno, a tre per il prezzo di venti”, ironizza, aggiungendo che ora anche Chelsea “si unisce a suoi genitori nel fare soldi per contribuire a nutrire le fauci rapaci e spalancate della Clinton Inc”. Perché mai “un’ora del suo tempo è valutata cifre che la maggior parte degli americani della sua età non guadagna in un anno?”, si chiede il premio Pulitzer. Alla dichiarazione del portavoce dei Clinton secondo il quale i compensi di Chelsea vanno alla fondazione di famiglia che si occupa di opere benefiche, la giornalista risponde che “se vuole essere altruista, lasci che il suo denaro vada a quegli enti caritativi che non sono progettati per illuminare il nome dei Clinton”, mentre la madre si lancia nella corsa alla presidenza. Ai Clinton “ferocemente protettivi” nei confronti della loro figlia al tempo della Casa Bianca, Dowd consiglia di “proteggerla ancora, questa volta dalla loro sfrenata avidità”».
Che i Clinton siano diciamo sensibili al denaro è cosa nota sin dai tempi in cui hanno incominciato a scalare il potere, giù in Arkansas. Che The New York Times li attacchi a testa bassa significa che per il momento, dato il fiuto che quel quotidiano proverbialmente ha per il potere, il potere vero non si è ancora trasferito all’indirizzo dei Clinton. Ma la notizia è che finalmente si capisce cosa la giovane Chelsea dica per l’astronomica cifra di 75mila dollari a volta: «Hillary for President».
Marco Respinti