I temi della grande e discussa enciclica (1968) di Paolo VI anticipati in una lettera quaresimale di 8 anni prima (1960)
Cresce l’interesse teologico e scientifico, all’alba del Sinodo straordinario sulla famiglia, verso un’antica lettera pastorale per la Quaresima, datata 27 febbraio 1960 ed intitolata significativamente Per la famiglia cristiana. Autore l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, che il 21 giugno 1963 sarebbe divenuto Papa Paolo VI. “E’ evidente: l’argomento ha dimensioni sproporzionate ad una breve e semplice Lettera pastorale”, ammette candidamente l’autore. Otto anni dopo egli avrebbe condensato gli argomenti più caldi dal punto di vista bioetico nella celebre enciclica Humanae vitae (1968), contestata da quanti pretendevano l’adeguamento puro e semplice alla modernità espressa dall’ideologia sessantottina.
Tuttavia, i prodromi della rivoluzione sessuale erano già evidenti nel 1960. Lo si comprende lasciando scorrere lentamente le pagine di questa lettera, riportata integralmente nell’ottimo volume Discorsi e scritti milanesi 1958-60 (1997), secondo di una preziosa serie, curata dall’Istituto Paolo VI di Brescia, volta a valorizzare il magistero di Montini quale arcivescovo ambrosiano. L’evidenza dei cambiamenti in atto è anche nella preposizione scelta nel titolo: “Per”, cioè a favore, in difesa di qualcosa che si vede aspramente combattuto.
“Questa sorgente della vita umana, che è la famiglia, si trova ora alla convergenza di due correnti contrastanti, l’una che la minaccia con cento insidie e cento profanazioni; l’altra che la difende, la riabilita, la trasfigura, fino a scoprire nel matrimonio cristiano realtà naturali e sopranaturali”. Già da queste poche righe introduttive si percepisce il timore che venga negato, assieme al Sacramento, il dato naturale. Si precisa poi al par. 38: “La famiglia è l’istituto naturale risultante dall’unione permanente dell’uomo e della donna e dei figli nati dalla loro unione”. Il matrimonio, consacrato da Dio, si radica profondamente nella natura dell’uomo, coinvolge indissolubilmente una serie di soggetti consenzienti e la prole non è un orpello.
“Vorremmo che il concetto della famiglia prendesse nel loro animo splendore ideale: vorremmo che alla realizzazione di questo ideale portassero limpida e piena la loro forza d’amore; (…) vorremmo che non impuri pensieri e scorretti costumi devastassero la vigilia del loro matrimonio [1]”. Tra i giovani, figli della prima generazione post-bellica cresciuta negli agi del boom economico, cominciavano a serpeggiare pratiche quali il sesso fuori del matrimonio, spesso senza ancora dare una giustificazione che non fosse emozionale o “ribellistica”. Il consumismo, gruppi musicali come i Beatles, telefilm importati da Paesi protestanti, dove l’unione coniugale non è un Sacramento nel senso cattolico del termine, instillavano l’idea di “liberazione” dai freni inibitori. Non era questa la novità di vita che auspicava la Chiesa sulla scorta del Vangelo. “Un tipo di famiglia nuovo noi ci attendiamo dalla generazione giovanile, a cui le tremende esperienze della storia presente devono avere insegnato che solo un cristianesimo autentico e forte possiede la formula della vera vita”. Il Battesimo ci rende creature nuove, capaci di grazia, a differenza dell’uomo corruttibile dominato dal peccato. Il “nuovo” moderno considera, invece, la morale cristiana un relitto del passato ed arriva a giustificare il peccato (Rivoluzione). Eppure, dice Montini, la Seconda guerra mondiale e gli orrori dei totalitarismi dovrebbero aver insegnato qualcosa! Laddove si nega spazio a Dio, l’uomo opera costantemente il male. Un argomento che i genitori dei baby-boomers avevano verificato sulla propria pelle, ma la voglia di lasciarsi alle spalle il dolore passato aveva spinto molti ad educare i figli con una prospettiva solo presente, incentrata sul benessere acquisito. Il mondo della cultura, egemonizzato dal materialismo marxista, contribuiva tramite la scuola e la pubblicistica a negare qualsiasi riferimento spirituale all’esistenza.
Il card. Montini elenca con estrema lucidità quelli che considera i sintomi più gravi della crisi della famiglia. “La diminuzione dell’autorità paterna (…), la progressiva promozione della donna” in competizione con l’uomo, “la trasformazione della ricchezza e il conseguente mutamento della funzione economica della famiglia [2]”, che dagli orari di lavoro viene sempre più tenuta all’esterno del proprio nido, riducendo la comunicazione tra le generazioni. L’arcivescovo vede alcune novità positive, come l’accresciuta dignità della donna e del bambino. “La famiglia moderna, nella grande generalità dei casi, nasce libera”, realizzando gli auspici del Concilio di Trento contro i matrimoni combinati.
“Accanto a questi rilievi positivi non possiamo tacerne altri negativi, dei quali notiamo i più evidenti. Primo fra questi sembra essere quello della minore solidità dell’istituto familiare”. Oltre a ciò, “è pur troppo da notare (…) la minore fecondità della famiglia moderna”. La colpa non è da individuare unicamente nel mondo del lavoro e nella migrazione interna degli italiani (da sud a nord), che sicuramente hanno sradicato interi nuclei dal loro tessuto culturale, ma in due nemici che Montini individua con tagliente precisione: l’orientamento divorzista e la mentalità contraccettiva. “Ancora è forte e sano nel nostro popolo il concetto della sacra perennità della famiglia; ma è purtroppo da lamentare che tale concetto sia oggi meno sostenuto dal giusto senso di responsabilità [3]” verso i familiari e la società, sul modello dei Paesi, in specie protestanti, in cui il divorzio è presente già da tempo. “(…) a contenere la (…) fecondità concorrono ora dottrine pericolose e diffusissime, che sono a portata di tutti, in termini quasi sempre inesatti, mentre si ammantano di apparenze scientifiche; alludiamo a due principalmente: il neo-malthusianesimo ed il controllo delle nascite [4]”. Erano gli anni in cui le organizzazioni internazionali erano ossessionate dal mito della sovrappopolazione mondiale. Una tendenza ideologica che avrebbe raggiunto il suo culmine negli anni ’60-’70. Nel 1960 Montini non fa distinzione tra i metodi naturali e quelli “macchinosi”: quel che gli interessa è focalizzare una mentalità che punta al “risparmio” in famiglia.
“Forse tutto questo flagello ha un nome estremamente generico, ma in questo caso tragicamente vero, ed è l’egoismo. Se l’egoismo governa il regno dell’amore umano, ch’è appunto la famiglia, lo avvilisce, lo dissolve. L’arte di amare non è così facile come comunemente si crede. A insegnarla l’istinto non basta. La passione ancor meno. Il piacere neppure. L’amore può assumere due espressioni terminali contrarie: l’egoismo e il sacrificio” (par. 20). L’individualismo è uno dei cardini del Sessantotto.
L’Humanae vitae è già tutta qui.
Michele Brambilla
[1] Par. 6.
[2] Par. 12.
[3] Par. 18.
[4] Par. 19.