Pubblichiamo le riflessioni di una sentinella che ha partecipato alla veglia pacifica e silenziosa di domenica scorsa 5 ottobre a Napoli, testimone dell’azione arrogante e violenta di una contro-manifestazione fatta di insulti, bestemmie e oscenità di vario genere.
La collina del Vomero è sempre avvolta in un’atmosfera strana, a tratti dormiente, alcune volte desta del torpore che si posa sulle panchine e sembra salire su per tutte le numerose case che si stagliano immobili, lungo i viali colorati di giallo, rosso, qualche volta arancione, a seconda del tempo, del vento e delle stagioni.
Sono da poco passate le 12 di una splendida domenica di ottobre quando, scendendo da Piazza Vanvitelli, intravedo camion delle forze dell’ordine e subito dopo uomini in divisa che difendono altri uomini che in silenzio leggono libri.
Mi unisco a loro, divento anch’io una “Sentinella in piedi” e comincio a leggere “I cinque linguaggi dell’amore” di Chapman Gary, ma è impossibile. Il rumore attorno è assordante e le urla impediscono qualsiasi concentrazione. Penso che gli uomini non sono fatti per urlare e che quando urlano allontanano qualcosa da sé per perderlo per sempre.
Oggi sono sceso in piazza, per leggere in silenzio, per difendere la possibilità di continuare a leggere, a pensare, a parlare, a ragionare. La possibilità, il diritto, per me, per ognuno di poter continuare a dire e a esprimere il proprio pensiero, giusto o sbagliato che sia. Il pensiero fa paura ed è pericoloso. Nella sua disarmante semplicità, questa attività non va più bene. E, purtroppo, non piace.
L’ordine generale, pertanto, diviene quello di spegnerla, contrastarla, distruggerla, metterla a tacere. Ma si può mai zittire il silenzio? Si può lasciare che nulla più importi, a questo mondo lacerato dal disordine e dalla noia?
E’ così che ad un certo punto, non riuscendo più a leggere, alzo lo sguardo e comincio ad osservare ogni singola persona che, aldilà del cordone della Polizia, mi sta davanti. Ascolto frasi che sguaiate escono da bocche troppo serrate per essere sincere, vedo e rivedo questi giovani che, persi e confusi, sembrano vogliosi di risposte che da nessuna parte trovano più. Vedo ancora sguardi perduti, come bestie arrabbiate, contro il mondo, snocciolando argomentazioni senza alcun senso e in cui forse non credono nemmeno loro e in cui il dialogo, unica strada da percorrere, non alberga più nelle loro anime.
E’ quasi trascorsa un’ora, ancora illuminati dal sole, ancora qui nel nostro silenzio. E’ ancora il silenzio contro le urla, è la civiltà contro l’arroganza della superficialità, è la mitezza contro il disordine. Dall’altra parte, continuano i tentativi di spegnere il nostro diritto ad esprimere liberamente il pensiero.
Arrivano uova, palloni gonfi d’acqua, insulti. Da parte nostra, soltanto l’immobilità. Mi vengono in mente le parole del mio amico Alberto sull’erba buona e la gramigna, le quali crescono così vicine, eppur così lontane. Ma quanto dolore sperimenteranno quei cuori anneriti dall’odio.
Il mio sguardo non è più lì. Penso ai tanti credenti o presunti tali, ai tanti sedicenti cattolici. Mi chiedo dove sono. Dove sono gli altri pezzi di una Chiesa incerta? Nasce, allora, la speranza di essere voce di chi oggi non è qui con noi, come in un comune sentire, come in una comunione senza fine di anime numerose e presenti come non mai, che sentono, con la stessa intensità, l’urgenza di difendere il diritto di ogni persona di parlare e pensare.
E’ venuto il tempo di andare, non prima di aver alzato lo sguardo al cielo. Guardo le foglie oramai autunnali colorate di giallo. Sugli alberi, tanti uccelli osservano la scena da sopra. Vedendoli, penso che stando così in alto sono stati risparmiati delle urla e delle bestemmie, ma del silenzio no. Il silenzio, invece, è rimasto anche lì. E da oggi fa più rumore di ieri.
Nicola del Piano