Lunedì 21 ottobre 2014, al Centro Francescano Culturale Artistico Rosetum di Milano ha avuto luogo l’incontro di presentazione dell’ultimo libro della giornalista Costanza Miriano: “Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’agnello.”
L’evento è stato presentato da Marco Invernizzi, Reggente Regionale di Alleanza Cattolica Milano, organizzatrice dell’incontro. Oltre all’autrice del libro, è intervenuto anche Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta.
Che cosa spinge 500 persone a sacrificare un lunedì sera per ascoltare qualcuno che parla di “obbedienza”, termine così poco politically correct?
Probabilmente il fatto che Costanza sia più mamma e moglie che giornalista Rai, e più una sorta di mina vagante che una vera e propria “relatrice” – per lo meno non noiosa e intellettualoide, come prevede il galateo di un relatore che si rispetti.
Senza contare che era affiancata da un altrettanto papà e marito come Roberto Marchesini, che si è ritrovato a parlare di San Tommaso e Giovanni Paolo II per spiegare dinamiche di coppia, la cui soluzione è normalmente affidata alle due frasette dell’oroscopo mattutino letto su un giornale qualunque.
Tra risate ed applausi i due relatori si sono passati il testimone sulla questione dell’obbedienza con molto realismo e autoironia. Ebbene sì, obbedire sarebbe la soluzione di molti problemi. Obbedire? A cosa? “Obbedire alla realtà, prima di tutto”, ci anticipa Costanza, “perchè tutto quello che ci succede, anche quel figlio lì che vorrei fosse più perfetto, quel marito lì che non ascolta quello che gli dico quando vorrei tutta l’attenzione su di me, sono delle grandi opportunità di ricordarmi che non ci sono solo io, e che qualcun Altro mi compie”.
Prosegue Costanza: “e obbedire anche alla diversità dell’altro. Ci stanno convincendo del fatto che uomo e donna sono uguali (non sul piano giuridico, ndr), che tra di noi non c’è differenza. Ma questa è una violenza grandissima, perché vuol dire snaturare chi siamo, e gettare su chi ci sta vicino una pretesa che non potrà mai soddisfare: non posso pensare che mio marito sia come una mia amica a cui raccontare i miei pensieri di ogni istante degli ultimi due giorni, perchè non è un ruolo che è suo.” In parole povere, ricordiamoci che non siamo il metro di paragone a cui gli altri devono adattarsi. Bisogna “stare al proprio posto, nel quotidiano. L’obbedienza è docilità, che non è altro che l’essenza dell’agnellitudine”. Agnellitudine tipica di chi ha una “compagnia” nel quotidiano, che possa sostenere con noi la fatica, il cammino, verso quell’unico vero Agnello di Dio che è Cristo, morto in croce per noi, rappresentante supremo dell’obbedienza con la “o” maiuscola.
Marchesini aggiunge: l’obbedire è l’altra faccia della medaglia dell’autorità. Per poter obbedire deve esserci un’autorità a cui fare affidamento. L’obbedienza è rinunciare a qualcosa di sé per fiducia e amore ad un altro. Pertanto l’obbedienza è amore. Ma ancor più di questo è libertà. Non c’è atto di obbedienza che non sia prima di tutto un atto di libertà. Gli estremi opposti dell’obbedienza sono l’autoritarismo e il servilismo: nel primo caso si esercita la forza su un altro, nel secondo si esercita la forza su se stessi- al fine di eseguire un comando. L’obbedienza invece è un atto libero, non un’imposizione. Dobbiamo ricordarci che nell’obbedire, prima di tutto c’è il nostro “desiderio di compiere il bene”.
Quindi davvero, alla fine dei conti, “obbedire è meglio”.