Le radici della ripresa, economica e non solo, stanno nella continuità culturale di Milano, radicata nel particolare “umanesimo lombardo”.
Il magistero di Papa Francesco e del b. Paolo VI (ma scorrono anche le parole di S. Giovanni Paolo II e della Charitas in Veritate di Benedetto XVI) è il riferimento cardine della tradizionale allocuzione di S. Ambrogio dell’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola. Il discorso, tenuto nella basilica del santo la sera del 5 dicembre, ruota attorno al concetto di “nuovo umanesimo”, proposto “per Milano e le terre ambrosiane”.
La prima citazione è dell’Evangelii gaudium: “La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano!” (par. 55). Il card. Scola deduce che “solo se sorge “dal di dentro” dei ritmi e dei processi dell’attuale travaglio storico si può parlare di nuovo umanesimo. Si deve intendere bene il senso dell’aggettivo “nuovo”. Il nuovo non è l’inedito ad ogni costo. Piuttosto,
nuovo è camminare non perdendo l’origine, è un ri-cominciare”.
Queste origini l’arcivescovo le va a ripescare letteralmente da Adamo ed Eva. “Per parlare di nuovo umanesimo i cristiani debbono anzitutto far fronte, in modo costruttivo, alla critica rivolta all’umanesimo antropocentrico” cattolico da parte di quello che si è affermato a partire dal Rinascimento e si è configurato come Rivoluzione. La risposta alla Rivoluzione “può efficacemente ancora riferirsi ad una adeguata lettura del Libro della Genesi a proposito della creazione. Una lettura che ri-situi l’uomo, voluto da Dio, al riparo da una posizione di dominio e di sfruttamento degli altri e del creato”.
Il credente contemporaneo non può esimersi dal confrontarsi con l’antropologia che ammorba i suoi concittadini. “I cristiani non possono disertare anzitutto perché membri, a tutti gli effetti, della famiglia umana, ma ancora di più perché sono seguaci di un Dio incarnato, che ha assunto la condizione umana non solo per indicarci il destino di amore definitivo che ci attende dopo la morte, ma (…) per accompagnarci nel nostro quotidiano cammino su questa terra”. L’arcivescovo sbugiarda così il travisamento marxista del Cristianesimo: tenere a mente il destino ultraterreno significa valutare le cose concrete nella giusta prospettiva.
Il card. Scola elenca volentieri tutte le fasi storiche in cui la Lombardia ha seguito la prospettiva del “piedi per terra e sguardo volto al cielo”: “basti pensare alla promozione da parte di san Carlo dell’insegnamento della lettura ai ragazzi che frequentavano la dottrina cristiana, o all’opera delle Orsoline”, che gestiscono una scuola giusto di fronte a S. Ambrogio. Con grande sorpresa dell’uditorio laico, arruola persino l’Illuminismo del Caffè: “Non si può evitare almeno un cenno al cosiddetto “illuminismo lombardo”- pensiamo al Verri, al Beccaria (giusto quest’anno ricorre l’anniversario del trattato Dei dei delitti e delle pene, pubblicato nel 1764) e, per certi aspetti, allo stesso Manzoni – con la sua peculiare attitudine a coniugare le istanze innovatrici d’Oltralpe con la tradizione culturale milanese”.
In effetti, è indubbio che il Settecento milanese si distinse da molta parte dell’intellettualità europea. Rifiutò le spinte più deteriori per declinare, invece, i concetti base di autonomia territoriale, libertà di coscienza e dignità umana in simbiosi con l’ethos locale, il quale, sull’esempio di Ambrogio e Carlo, non disgiunse mai ragione, fede ed impegno civico. Quando dalla Francia arrivarono i giacobini veri, nel 1796, la maggior parte degli esponenti di quell’Illuminismo riconobbe la distanza che intercorreva tra sé e l’invasore.
L’umanesimo lombardo è alla base anche dello sviluppo novecentesco della città. “A questa stagione seguì la de-industrializzazione degli anni ’70, accompagnata dalla contestazione studentesca (con l’occupazione delle cinque università milanesi) e, assai dolorosamente, dalla violenza terroristica”. Fu quindi il Sessantotto a far dimenticare l’antica attenzione all’uomo. “Non è casuale che gli anni (…) di questa fase coincidano con la prospettiva del “guadagno facile”, reso possibile proprio dalla “finanziarizzazione” dell’economia, che mostrerà il suo volto perverso con la grande crisi del 2008”. La crisi antropologica sessantottina ha quindi preparato coerentemente lo sfacelo in cui siamo immersi perché si basa sulla “cultura del narcisismo”.
E’ possibile rialzarsi? Si, se si riparte, per esempio, dalla “centralità della famiglia” intesa come famiglia naturale aperta alla vita. La famiglia è il primo dei corpi intermedi, “così maltrattati dalla politica contemporanea”, come non manca di denunciare l’arcivescovo. “Ad un’esasperata percezione dei diritti individuali (…) spesso non corrisponde il riconoscimento dei doveri correlati (…) e, in questo modo, si pretende che le leggi proteggano, sanzionino, quando non favoriscano il diritto alla realizzazione di ogni genere di desiderio”. Allusione alla legge sull’omofobia ancora in discussione in Parlamento? Il caso specifico è compreso nell’analisi di una tendenza generale.
La critica alla giurisprudenza “creativa” è risuonata anche nelle orecchie dei rappresentanti dei tribunali di Milano, gli stessi dove si fabbricò la sentenza su Eluana Englaro (2009), e del sindaco, pochi mesi fa in prima linea nel difendere la scelta di registrare le unioni gay celebrate all’estero. Entrambi erano presenti, per doveri d’ufficio, nella navata della basilica. Torna in mente lo staffile, che l’iconografia è solita mettere in mano ad Ambrogio, anche nel ritratto appeso nell’aula del consiglio comunale di Milano. “La bellezza della fede testimoniata in tutti gli ambienti dell’umana esistenza è il dono più prezioso che i cristiani possano offrire ai propri fratelli uomini”.