Un mio caro amico, che lavora in una grande multinazionale, ha la curiosa convinzione secondo cui se festeggiamo la natività di Gesù è cosa sensata e giusta fare gli auguri dicendo “Buon Natale”. La sua azienda, invece, come moltissime altre, ritiene più rispettoso e “neutro” porgere i “Season’s greetings”, innocui, vaghi, incomprensibili auguri per indefinite festività “di stagione” (come i carciofi o gli asparagi).
Lui però non crede che sia giusto: noi festeggiamo la nascita del Salvatore del mondo, il Re dei Re, il Figlio di Dio, il Redentore, la Seconda Persona della Santissima Trinità. E’ per questo che gli uffici e le scuole chiudono, è per questo che ci si scambiano doni, è per questo che si fanno alberi di Natale e Presepi. E, allora, non si capisce perché fare festa dimenticandosi del Festeggiato: che senso ha fare tutto questo il 25 dicembre e non in un altro giorno qualsiasi?
Il mio amico la pensa così e allora, infischiandosene dei biglietti augurali “asettici” fatti predisporre dalla sua azienda, ha inviato a tutti i suoi contatti di lavoro, sparsi per il mondo intero, un augurio a cui unisce un racconto, ogni anno diverso, in grado di rappresentare almeno per qualche aspetto il senso del Natale.
Quest’anno 2014, il racconto era accompagnato da questo messaggio:
«Ogni anno, a Natale, mando gli auguri a colleghi ed amici. Anche se non professiamo la stessa religione e le stesse tradizioni, vorrei estendere anche a te e alla tua famiglia i miei migliori auguri di pace e di prosperità. Da molti anni, insieme agli auguri di Natale, ho l’abitudine di mandare ai miei amici un racconto di Natale diverso ogni anno. Nella notte di Natale i Cristiani celebrano la nascita di Gesù. In questa notte così straordinaria possono accadere molti eventi eccezionali, come quelli descritti nel racconto che allego».
Nei giorni scorsi, tra gli altri, sono arrivati due messaggi di risposta da un collega musulmano (dall’Arabia Saudita) e da un collega ebreo (da Israele).
Il primo scrive:
«Caro amico, a nome del team dell’Arabia Saudita ti auguro un buon Natale. Possa Dio benedire te e la tua famiglia con Gioia, Pace e Amore in questo Natale».
Il secondo invia un messaggio a due facce: una celebra la ricorrenza ebraica dell’Hanukkah e l’altra riporta una grande scritta “Buon Natale”.
Nel farmi avere questi testi, il mio amico ha commentato, con un velo di amarezza, “Come vedi nessuno nega la tradizione dell’altro, ma anzi la rispetta pienamente”.
Il musulmano e l’ebreo avrebbero davvero preferito ricevere un messaggio contenente gli “auguri stagionali”? Avrebbero risposto con lo stesso tono?
La premura tutta occidentale di non offendere gli altri, di non urtare suscettibilità diverse, di non alzare steccati con i nostri interlocutori è un patetico mascheramento della nostra pochezza umana, dell’infimo livello a cui è giunta la nostra coscienza, la nostra cultura, la nostra identità.
In realtà, la negazione del Natale è una “delicatezza” che riserviamo a noi stessi, alla nostra incapacità di coltivare il tesoro della fede, al nostro essere indifesi e vuoti, privi di radici e incapaci di affrontare la vita e le sue domande di senso.
E allora, caro uomo occidentale smarrito, tanti “auguri stagionali”, con la speranza che anche per te possa tornare il sorriso che solo un buon Natale è in grado di donare.
Andrea Arnaldi