Un anno dopo Alleanza Cattolica, anche l’arcidiocesi di Milano promuove un pellegrinaggio natalizio in Terra Santa, guidato personalmente per i primi giorni dal card. Angelo Scola.
Sono forse i momenti migliori per salire a Betlemme. Il Natale è un ricordo ancora fresco, la liturgia continua, poi, a cantare la scelta di Dio di abitare un tempo ed un luogo precisi nella Storia. Il card. Scola, durante la Messa del 27 dicembre nella basilica cattolica della Natività, sottolinea molto l’aspetto “tattile” del pellegrinaggio.
“Qui il Verbo si è fatto carne: questo leggiamo nella grotta. Qui: questo termine è segno di grande concretezza. Dobbiamo recuperare alla nostra autentica fede in questo pellegrinaggio la natura di avvenimento del Cristianesimo”.
Nozione cara al maestro spirituale dell’arcivescovo, il servo di Dio mons. Luigi Giussani (1922-2005), ma che in Terra Santa acquista la pienezza della sua forza argomentativa.
“Nelle nostre comunità rischiamo di ridurre l’avvenimento di Gesù ad un’idea. In realtà con l’Incarnazione Dio si è fatto uomo come noi, concretamente”.
Andare lì dove è cominciato tutto aiuta a ricordarlo. La completezza della Redenzione è avvenuta nella Pasqua. Il mattino del 29 dicembre i milanesi entrano con grande emozione nel Santo Sepolcro, all’alba. Certo, è Natale e non è neppure “il primo giorno dopo il sabato”, ma fa sempre un certo effetto baciare la pietra dell’Anastasis mentre il sole ha la medesima inclinazione degli istanti in cui l’angelo apparve alle tre Marie per annunciare la resurrezione di Cristo.
“Come Maria di Magdala, al buio, è il nostro andare stamane. È l’andare nel buio motivato per l’amore per Gesù, il bell’amore capace di giungere obiettivamente al bene dell’altro come altro, costi quel che costi”.
Come tutti i presenti sanno, il Vangelo che si legge nella Messa del giorno di Pasqua è proprio la visita della Maddalena al sepolcro (Gv 20, 11-18).
“Siamo nel luogo decisivo della storia. Al Venerdì Santo arrivano tutti a riconoscere un giusto in quell’innocente impalato in modo ignominioso sulla croce. A noi è stato dato il dono della fede per vivere il momento decisivo che egli ha qui compiuto: il passaggio da questo sepolcro alla vita definitiva, alla risurrezione”.
Ne viene che
“Il nostro pellegrinaggio in queste terre sante sarebbe pura archeologia se il nostro cuore, la nostra azione non si sottoponessero al cambiamento”,
cioè se non si convertissero a Gesù.
“Se siete risorti con Cristo, scrive l’apostolo. Se siete, non se sarete. Perché la prospettiva – se non la rifiuteremo – è di essere nel nostro vero corpo con Lui e con sua Madre”.
Il nostro destino ultraterreno si prepara nella quotidianità. Ecco perché, anche in Terra Santa, il card. Scola sprona all’amicizia civica ed al coraggio della missione.
“In tutti gli ambienti dell’umana esistenza (…) siamo attesi come testimoni della certezza che la nostra vita ha un destino di gloria”.
Lo storico appunta che la presenza dell’arcivescovo di Milano compie in un certo qual modo il voto del predecessore Anselmo IV da Bovisio (1097-1101), il quale, alla notizia della caduta di Gerusalemme in mano ai crociati (1099), armò i lombardi e cercò di precipitarsi in Terra Santa, ma fu sconfitto dai musulmani e costretto a ritirarsi a Costantinopoli.
Michele Brambilla