Vengono in questi giorni consegnate ai parroci le schede, distribuite la domenica precedente, con i nominativi delle persone che il popolo di Dio intende candidare al consiglio pastorale. Assieme ai consigli pastorali parrocchiali, giunti allo snodo dei 5 anni, dovranno essere rinnovati il consiglio affari economici, il consiglio pastorale decanale, il consiglio presbiterale diocesano ed il consiglio pastorale diocesano, questi ultimi due presieduti dall’arcivescovo in persona.
E’ quindi il momento del cambio di marcia per tutti questi organismi, nati sull’onda del Concilio Vaticano II durante il Sinodo diocesano 46° (1966) come prima espressione “ufficiale” della partecipazione dei laici all’apostolato della Chiesa. Il card. Giacomo Biffi ricorda nelle sue memorie (allora era parroco di S. Andrea in Milano):
“Adesso sembra del tutto scontato che nella parrocchia ci sia un consiglio pastorale. Ma nel 1969 non era così: se ne discorreva un po’ da ogni parte, ma non c’erano direttive precise e vincolanti (…). Il Vaticano II aveva parlato di un consiglio pastorale diocesano (Christus Dominus, 27); e un consiglio parrocchiale sembrava un’estensione abbastanza coerente e logica. (…) Perciò risolsi a partire da una pubblica discussione generale, nel contesto di libere assemblee, che allora erano di moda (…). Alla fine fu universalmente chiaro che, secondo una corretta ecclesiologia, la base dovesse essere l’assemblea eucaristica e le votazioni si sarebbero dovute fare durante tutte le Messe di una domenica prefissata”.
Così avviene anche oggi. Molto importante l’accenno all’Eucaristia: è la Messa che crea la comunità radunandola attorno al vero Salvatore, presente nel SS. Sacramento.
Amato ed odiato, il consiglio pastorale ha come strumento un’eredità complessa. Ha contribuito a che il laicato delle parrocchie si sentisse responsabilizzato nella conduzione della comunità e ha favorito il coordinamento tra le varie parti (catechesi, Caritas…). Allo stesso tempo, ha instillato la percezione di una “burocratizzazione” della Fede, sul modello del Comune (voti, elezioni, circolari…), a tratti ha confuso le idee sulle specifiche competenze (“clericalizzazione” del laico) e perfino favorito l’ambizione di qualcuno, libero di imporre la propria visione di Chiesa. Tuttavia, ha trovato il suo posto nel mondo cattolico. Il diritto canonico al can. 536 stabilisce che il consiglio “ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal vescovo diocesano” perché la sacra potestas di condurre il gregge compete esclusivamente al sacerdote.Sulla base di questo paragrafo si sono instaurate due tendenze: chi ignora il consiglio pastorale perché “tanto è inutile” e chi, nel clero, mette spesso i laici davanti al fatto compiuto.
Consapevole di questi fenomeni, il card. Angelo Scola scrive a tutte le comunità ambrosiane per illustrare lo spirito con il quale bisogna procedere alle elezioni dei consigli.
“Carissimi, per vincere lo scoraggiamento e il malumore che rischia di invecchiare le nostre comunità, basta che io, che tu, che noi ci coinvolgiamo nell’affascinante compito di annunciare Gesù Cristo, motivati solo dalla docilità allo Spirito di Dio che abita in noi”.
Ricordarsi, quindi, l’origine soprannaturale della Chiesa e della sua conduzione.
“La storia di una comunità può anche aver causato ferite, ma lo Spirito di Dio non abbandona mai la sua Chiesa. Non solo l’immenso patrimonio di bene, ma anche le difficoltà possono rivelarsi feconde di nuove risorse, vocazioni e manifestazioni della gloria di Dio se ci sono persone che accolgono l’invito a dedicarsi all’edificazione” della parrocchia nella pastorale.
L’arcivescovo pone la collaborazione all’apostolato gerarchico in questa forma nel novero delle vocazioni. Ed in effetti bisogna sentirsi chiamati per sorbirsi lunghe sedute mensili, documenti in ecclesialese ed opposizioni contrapposte. Se lo Spirito però è quello giusto, anche questo diventa ad maiorem Dei gloriam.
“Servono esperienze, competenze diversificate, capacità comunicative, ma i tratti fondamentali e indispensabili sono l’amore per la Chiesa, l’umiltà che persuade alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio, la docilità allo Spirito che comunica a ciascuno doni diversi per l’edificazione comune. Per questo vi scrivo, carissimi: per incoraggiare ciascuno a sentirsi lieto e fiero di poter offrire qualche dono spirituale per il bene della nostra amata Chiesa ambrosiana. Ne abbiamo bisogno. In un tempo come questo solo una Chiesa viva può irradiare motivi di speranza e restituire all’umanità fiducia per il suo futuro”.
La vitalità di una comunità cattolica si vede anche nel saper prendere in mano i propri destini, nel tenere alla buona conduzione del luogo dove si continua a ricevere i Sacramenti della salvezza e ad istruire le generazioni future ai primi rudimenti della Fede. In questa tornata c’è anche l’interesse a verificare come opereranno i nuovi consigli, specialmente i maggiori, dato che i precedenti erano stati eletti sotto il card. Dionigi Tettamanzi, in un clima ecclesiale molto diverso.
Saranno i primi consultori ed esecutori delle riforme del card. Scola.
Michele Brambilla