E’ stato un bene che, la sera del 22 aprile, sia stato l’arcivescovo card. Angelo Scola a presiedere volontariamente la veglia, organizzata dall’arcidiocesi di Milano nella chiesa di S. Stefano Maggiore, in suffragio delle vittime dell’ennesima strage del mare (19 aprile). Difficile, infatti, scaldare molti cuori su un argomento che ai milanesi ricorda insistenze moleste e strumentali di altri tempi.
L’immigrazione “è un problema europeo, e più che europeo. Il nostro governo e l’Europa studino soluzioni che, percepisco, sono molto difficili, perché un’accoglienza in termini equilibrati e pazienti non si può non fare, a meno di un regredire nella civiltà”.
Da sottolineare gli aggettivi “equilibrati e pazienti”, sinonimo dell’uso di ragione (anche per il card. Scola l’Italia ha già fatto tanto, “pure troppo”). Dormire è stato fatale:
“L’Europa per un decennio non si è occupata di Mediterraneo, come se non fosse un nostro problema. (…) Già 10 anni fa si poteva prevedere che il sud del Sahara si sarebbe mosso. La politica è anche previsione”
e, secondo l’arcivescovo, è dannoso abbandonare l’Italia alla sua “responsabilità sproporzionata” di fronte agli sbarchi. Tuttavia, nel Cristianesimo non si riduce tutto alla prassi, perciò l’arcidiocesi di Milano invita specialmente alla preghiera.
Il card. Scola congiunge, nell’espressione “genocidi di ieri, stragi di oggi”, quanto si commemora quella sera con l’imminente 24 aprile, data nella quale ricorreranno esattamente 100 anni dall’inizio del genocidio degli Armeni da parte dei Turchi (1915). Lo sguardo deve alzarsi dal contingente per contemplare tutto il quadro, soprattutto nell’ormai endemica persecuzione religiosa che attanaglia i cristiani dal Medio Oriente alla Libia, da cui partono i barconi dei migranti.
Nel pomeriggio della grande commemorazione del genocidio, il card. Scola presiede in Duomo una celebrazione ecumenica assieme ai rappresentanti della comunità armena in Milano. Tradizionalmente veniva celebrata una Messa in Rito armeno in S. Ambrogio, ma il 100° anniversario richiedeva qualcosa di diverso. Ecco allora la scelta della cattedrale nella quale tutti i milanesi si riconoscono, a dare più valore al gesto in tempi in cui, da parte islamica (ma non solo), è ancora forte il negazionismo.
“La vostra, carissimi fedeli armeni, è una grande prova” che “è fonte di richiamo per tutte le Chiese” di fronte al replicarsi, in molte regioni del globo, degli stessi parametri assassini di 100 anni fa.
Si alza quindi forte il richiamo di padre Tovma Khachatryan:
“Siamo qui riuniti con il cuore colmo di tristezza per la spaventosa tragedia di allora, fonte di inarrestabile dolore (…). Questo atto vergognoso, offensivo verso la dignità umana e verso Dio, viene oggi negato da coloro che si ergono addirittura a paladini della libertà nel mondo. Tutti coloro che sono ai vertici internazionali dovrebbero opporsi al negazionismo e siamo riconoscenti a quelle nazioni che si impegnano nel riconoscimento del genocidio degli Armeni e a dare giustizia a quel milione e mezzo di persone senza sepoltura”.
Al mutismo della comunità internazionale non può certo affiancarsi l’indifferenza dei credenti. Il card. Scola ammonisce allora i presenti a non smettere di parlar chiaro, “secondo verità, davanti al mondo”. Come ha fatto Papa Francesco durante un’altra celebrazione ecumenica il 12 aprile in S. Pietro citando un documento comune di S. Giovanni Paolo II e del patriarca armeno Karekin II (2001), nel quale il Vaticano si impegnava ufficialmente ad utilizzare il termine “genocidio”, avendo alle spalle la grande opera di Benedetto XV (1914-22) durante la Prima guerra mondiale. Il Papa intervenne più volte per alleviare le sofferenze degli armeni e fermare la mattanza. Karol Wojtyla inserì a pieno titolo le vittime del genocidio nel novero dei caduti del “secolo del martirio” planetario dei cristiani. Francesco condivide l’idea che la tragedia armena rappresenti il primo tassello della scia di sangue che corre lungo tutto il Novecento e che culmina negli orrori dei totalitarismi nazista e comunista (Hitler, Stalin, ma anche Pol-Pot).
Michele Brambilla