Non c’è paese o contrada dell’arcidiocesi di Milano che non abbia la sua Madonna. Che sia l’immancabile, maestoso altare nella chiesa parrocchiale, il santuario di campagna o la cappellina ai crocicchi delle strade (rese celebri in letteratura da Alessandro Manzoni nella scena dei “bravi” del cap. I dei Promessi sposi), i fedeli sanno sempre a chi rivolgersi, specialmente nel mese di maggio. E’ l’antica gloria della pietà mariana lombarda, per niente in contraddizione con il cristocentrismo del Rito ambrosiano, checché ne dicano determinati teologi anti-devoti. Il Figlio addita la Madre e viceversa: questa è da sempre l’intuizione spontanea del popolo ambrosiano.
Anche Milano ha le sue cappelline stradali, e persino condominiali. Durante la Seconda guerra mondiale una bomba alleata cascò presso lo stabile di via Selinunte 11, ma non esplose, risparmiando la vita agli inquilini, i quali, finito il conflitto, ringraziarono la Madonna erigendo una nicchia ex-voto. Proprio lì si raccoglie in preghiera il 5 maggio il card. Angelo Scola assieme a numerosi fedeli. Una radicata tradizione popolare prescrive la recita quotidiana del S. Rosario nelle chiese e nelle case durante il mese mariano per eccellenza. Un’usanza ancora molto viva, anche in quel quartiere diventato, nel frattempo, un coacervo di stranieri, talvolta musulmani.
Il Corano loda spesso Maria, pur riducendola a ragazza madre di un profeta. E’ l’unica donna che merita complimenti unanimi accanto a Fatima, la figlia preferita di Maometto. Pertanto non stupisce trovare anche alcune donne islamiche con il cero in mano quella sera. Secondo il mio anziano parroco emerito, mons. Bruno Magnani, “anche per l’Islam la Madonna sarà la via che conduce a Gesù”. La deve pensare così anche l’arcivescovo, il quale, durante la celebrazione, scandisce come sempre molto bene le parole cardine della Fede cristiana, “Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori, (…). Gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo”, che diventano in quel contesto un annuncio indiretto.
Del resto “il S. Rosario è una preghiera semplice, ma profondissima”, vera e propria meditazione guidata della Parola di Dio. “Semplice, perché rivolta ad una Mamma”.
Il brano scelto dal parroco come introduzione è quello della Pentecoste, in cui gli Apostoli, chiusi nel cenacolo, aspettano con Maria la discesa dello Spirito Santo. La Madonna agisce così con tutte le comunità cristiane, anche nella “realtà di questo decanato di S. Siro” con le sue gioie e i suoi problemi.
Il martedì ricorrono i Misteri dolorosi, quelli della Passione di Cristo.
“Come non pensare, a partire da quel che Gesù ha provato e che Maria ha provato stando sotto la croce, alle sofferenze, alle fatiche di varia natura che privano ciascuno di noi in maniera diversa”.
Crea sconcerto anche l’incalzare della Modernità laicista e (bio)tecnologica. “Mai c’è stata nella Storia un’epoca in cui i cambiamenti sono stati così violenti”. Siamo in un condominio: il card. Scola cita le problematiche specifiche delle case a Milano, come aveva già fatto in inverno.
Mette a nudo anche le piccole o grandi diatribe che rovinano i rapporti nelle stesse parrocchie.
Tuttavia Dio, ogni giorno, riapre la finestra “a 360° sui nostri peccati, le nostre piccolezze, le nostre miserie. Noi offriamo stasera tutto questo ai piedi della Madonnina” perché lo riferisca “al nostro Redentore”. Sempre “raccomandando alla Madonna tutta la famiglia umana”.
La famiglia, nel senso del nucleo cardine della nostra società, è uno dei castelli più assediati di questi tempi. Il card. Scola viene incontro a molte esigenze impiantando a piazza Fontana un ufficio diocesano “per l’accoglienza delle persone il cui matrimonio è andato in crisi”. Si occuperà della pastorale verso queste persone e di snellire, laddove necessario, le pratiche di nullità matrimoniale, come auspicato dallo stesso arcivescovo durante il Sinodo di ottobre. Non è un “divorzio breve alla cattolica”, né una corsa verso la Comunione sacramentale ai divorziati, punti sui quali l’arcivescovo rimane inflessibile, ma, semplicemente,
“la presenza di molti fedeli che vivono l’esperienza della separazione coniugale e lo specifico dovere del Vescovo di provvedere adeguatamente all’accompagnamento di queste situazioni, suggeriscono la costituzione di una nuova e specifica articolazione organizzativa (…) che offra la sua competenza ai fedeli che vivono la prova della separazione, valorizzando al meglio le numerose risorse già operanti nel territorio diocesano in questo ambito (in primo luogo i Consultori familiari cattolici, i patroni stabili e il Tribunale ecclesiastico)”.
Michele Brambilla