“La famiglia è quell’operatore sociale unico e insostituibile che, mentre educa alle virtù personali, le mette alcontempo al servizio dell’Altro. La famiglia trasforma le virtù personali in virtù sociali. Infatti, è in famiglia che si apprende che la felicità personale dipende dalla felicità dell’altro. È in famiglia che l’individuo umano, fin da piccolo, impara che può essere felice solo se rende felice l’altro”.
Queste parole le trovate nel bel libro di Pierpaolo DonatiLa famiglia. Il genoma che fa vivere la società (Rubbettino, 2013, p. 187). Si tratta di un libro importante, che consiglio di studiare a tutti coloro che hanno a che fare con la famiglia, per difenderla o promuoverla, siano genitori, operatori pastorali, educatori. Credo anche che sia un libro importante in questo momento storico, quando per la prima volta nella storia italiana le famiglie hanno deciso di andare in piazza per difendersi, prima di ricevere l’input dei vescovi.
Il testo parte dalla constatazione di cosa è una famiglia, che non è la somma delle relazioni individuali di chi la costituisce, “ma la fonte e l’origine della società, il che significa del bene comune da cui dipende anche la felicità delle singole persone” (p. 9).
La famiglia invece è una realtà relazionale (cap. I), peculiare e originaria, “e non può essere intesa solo come la risultante di fattori individuali (motivi di ordine psicologico) o collettivi (motivi di ordine economico, politico o anche religioso), o di un loro mix” (p. 31).
Questa realtà è storicamente oggetto di un attacco che dura da secoli. La modernità infatti le “ha lanciato una sfida mortale” (p. 67), privatizzandola, facendo “implodere il senso del legame famigliare” (p. 68) e facendo “regredire le relazioni famigliari a forme primitive di comunicazione”
(ibidem). Ma questa sfida oggi ha raggiunto un nuovo livello di scontro: “c’è una rivoluzione culturale che passa attraverso la ridefinizione di ciò che è maschile e femminile” e ha un “bersaglio centrale: la famiglia” (p. 103).
Questa rivoluzione ha colpito la coppia modello che per decenni aveva caratterizzato e fondato la famiglia italiana, almeno fino al 1968, e senza un particolare aiuto da parte dei governi. “Lo testimoniano due fenomeni specifici. Il primo consiste nella forte diminuzione del quoziente di nuzialità. Il secondo fenomeno consiste nell’aumento continuo dell’età media al primo matrimonio”(p. 145).
Entrambi i fenomeni provocano gravi e significative conseguenze sul corpo sociale, fra cui lo sfaldamento della sua cellula fondamentale e il cosiddetto inverno demografico. Ma all’origine c’è la crisi della coppia che, secondo Donati, “non vede la propria relazione, ma pensa e agisce come se la coppia fosse costituita da due individualità che si fronteggiano come tali”. Ma se “le individualità si confrontano e si scontrano in continuazione, ed esistono proprio nel conflitto”, invece la relazione “esiste solo se è continuamente presa a cuore, se è coltivata come bene in sè, altrimenti perisce, anche se non è rifiutata esplicitamente” (p. 154). Questa riflessione, centrale nell’analisi di Donati, mette in luce il ruolo dell’individualismo nel processo di disgregazione della famiglia come realtà relazionale. Infatti, scrive sempre l’autore, “il problema odierno giace nel fatto che la relazione del Noi della coppia è poco o nulla tematizzata” (p. 161).
L’individualismo è certamente una delle espressioni della cultura postmoderna, che mira a eliminare la centralità della famiglia, sostenendo che essa “sarebbe un ostacolo all’emancipazione della persona umana come tale, perché vincola le persone ad una identità basata sulla differenziazione sessuale e ripropone relazioni di dipendenza del generato (figlio) dal generante (genitore)” (p. 177), il che sarebbe fonte di discriminazioni contrarie alla dignità umana, e inoltre impedirebbe lo sviluppo delle persone.
Pure descrivendo senza reticenza le modalità con cui la modernità ha “usato” la famiglia e la postmodernità cerca di eliminarla, Donati non è pessimista perché crede che il capitale sociale prodotto dalla famiglia sia insostituibile per ogni società. Si tratta allora di favorire “che le famiglie si organizzino ‘riflessivamente’ per poter essere e vivere come relazioni che non degenerano in un altro tipo di relazioni” (p. 203).
Si deve dunque favorire che le famiglie si organizzino per difendersi e promuoversi. E ci sono segnali di speranza, in questo senso: “per reazione a queste tendenze, nascono nuove culture famigliari, nuovi movimenti di spiritualità famigliare, nuove esperienze di comunità famigliari che coltivano le virtù sociali. Si tratta di fenomeni ‘emergenti’ fra coloro che sperimentano una semplice verità: che la famiglia narcisistica e privatizzata non porta alla felicità. Un numero crescente di persone, proprio quando va incontro a una crisi famigliare, si rende conto del fatto che la famiglia genera felicità nella misura in cui collega l’identità e la giusta privatezza con la sua apertura al mondo, alla partecipazione sociale, all’impegno civile e solidale con le altre famiglie” (p. 203).
Da questa constatazione, Donati lancia una proposta politica basata sulla “cittadinanza della famiglia”, secondo cui la famiglia è portatrice di diritti-doveri propri, che vanno al di là di quelli individuali, che lo Stato deve riconoscere, che sono un bene in sé che deve essere ottenuto attraverso le relazioni famigliari.
All’Europa, meglio alla UE, Donati pone una domanda “politica”, che purtroppo nessuna forza politica italiana ha fino a oggi voluto indossare senza riserve: “abbiamo ancora bisogno della famiglia oppure è più conveniente puntare sugli individui, sulle loro preferenze individuali come base della società futura? ” (p. 234).
Marco Invernizzi