La manifestazione romana del 20 giugno ha messo in luce come oggi il laicato cattolico italiano possieda di sua natura una forte dinamica mobilitante che, se percepisce in pericolo uno dei valori fondanti, può persino prescindere da indicazioni dall’alto. A dirla tutta, si è evidenziato come il vescovo-pilota funzioni specialmente quando egli condivide le medesime preoccupazioni ortodosse del gregge, mentre quando l’episcopato sposa posizioni che i laici non tardano a comprendere come contraddittori alla sana dottrina/prassi il meccanismo si inceppa.
Si intende per clericalismo l’atteggiamento che lascia ogni iniziativa al clero. Non corrisponde quindi all’idea che il laicista ha della medesima parola, poiché per lui ogni testimonianza pubblica cristiana è clericalismo.
Il clericalismo in casa cattolica si è rafforzato lungo i secoli per una serie di motivazioni storiche, che traggono origine dalla Controriforma. La Riforma protestante annullò il Sacramento dell’Ordine, pertanto il concilio di Trento vide una poderosa e sacrosanta riaffermazione dell’autorità del clero sui fedeli. In quel clima i vescovi si accorsero di quanto il Rinascimento avesse indebolito la morale familiare e comunitaria dei laici. Buona parte degli sforzi fu quindi devoluta a moralizzare il laicato.
Fu così in particolare nelle visite pastorali di S. Carlo Borromeo nell’arcidiocesi di Milano, che fece da modello a tutte le altre (Roma compresa). Esse impattarono su un tessuto in gran parte decaduto, il quale fu ricostruito sulla centralità della parrocchia e della figura del parroco moralizzato. Il laicato fu indirizzato a diventare un valido collaboratore del clero, tuttavia la naturale preminenza del sacerdote e l’inasprirsi del conflitto tra Chiesa e potere civile comportarono un lento slittamento verso la totale dipendenza del laico dal sacerdote.
L’Opera dei Congressi (1874), il grande coordinamento cattolico post-risorgimentale, concepito da laici appartenenti ad altre regioni italiane, seppe calarsi anche in Lombardia, ispirando leghe ed associazioni. Soprattutto tra Ottocento e Novecento le terre ambrosiane videro una generazione di sacerdoti notevole per dottrina e generosità, autentiche auctoritas nei propri micro-cosmi. I parroci patrocinarono, con l’aiuto dei laici più istruiti, cooperative, casse rurali, asili parrocchiali, oratori. Interessante ricordare che all’epoca il direttore spirituale dell’oratorio e colui che gestiva la struttura “materialmente” erano due figure distinte, come si vorrebbe ripetere oggi. Con il beato card. Ferrari, per via dell’abbondanza di vocazioni e dell’esempio salesiano, finirono invece per coincidere. Così è rimasto fino agli anni ’90 del XX sec.
Oggi nel laicato lombardo esistono due atteggiamenti. Uno, riscontrabile specialmente in chi si forma presso i movimenti, che ha chiaro cosa spetti al laico ed al prete e l’altro, visibile ormai quasi unicamente in parrocchia, che non muove foglia senza riunione con il sacerdote. Anche i consigli pastorali vengono letti da alcuni in questo secondo modo, trasformandosi in una ulteriore sudditanza burocratica.
Le nuove nomine concepite dal card. Angelo Scola vanno nella direzione di un riequilibrio delle posizioni. In Seminario pastori in cura d’anime subentrano a professori che da quando sono stato ordinati hanno avuto scarso contatto con il popolo, il che ha reso talvolta il loro discernimento unilaterale.
Ogni estate vede sempre qualche trasferimento di sacerdoti, ma nel 2015 a ruotare sono tutti i 73 decani dell’arcidiocesi, a cui aggiungere un numero considerevole di parroci. I fedeli si accorgeranno subito dei cambiamenti osservando chi, in base alle nuove disposizioni, “scomparirà” in montagna per alcune settimane di esercizi spirituali. Il passaggio da una comunità all’altra è infatti sempre traumatico per un prete che è stato tanto in un luogo: questo “filtro” consente di leggere in maniera spiritualmente più approfondita la nuova missione.
In ogni caso chi prenderà le redini di un paese diverso dovrà affrontare un mosaico variegato di esperienze e tradizioni, senza dimenticare la dicotomia di atteggiamenti sopra richiamata. Cosa deve fare il laico cattolico consapevole in questi momenti? Certamente non negare la vicinanza umana. Allo stesso tempo, essere vero consigliere non avendo paura di denunciare ciò che è da cambiare e muovendosi concretamente perché quanto è necessario sia messo in atto in prima persona. Solo così il nuovo sacerdote si inserirà armonicamente dentro una comunità in fermento e comincerà subito quella delega ai laici di molte cose non sostanziali allo stato sacerdotale alla quale Papa ed arcivescovo continuamente esortano.
Michele Brambilla