Si narra che nella primavera del 2011 Benedetto XVI fosse ancora titubante riguardo al successore del card. Dionigi Tettamanzi sulla cattedra milanese. Per togliersi l’ultimo dubbio, decise di telefonare all’unico che poteva aiutarlo con la sua ambrosianitas orgogliosamente ostentata e con la sua chiarezza concettuale: il card. Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna dal 2002. Il quale rispose laconico: “E’ ora di ricominciare la schiera degli ambrosiani di ferro”. Papa Ratzinger raggiunse allora una certezza: “Manderò il card. Angelo Scola”. E così avvenne.
Il card. Giacomo Biffi si è spento a Bologna, sua città adottiva, l’11 luglio 2015. Nato il 13 dicembre 1926, residente a Milano in via Paolo Frisi 8, fu battezzato nella parrocchia di S. Francesca Romana. Crebbe respirando pienamente l’aria della più pura ambrosianità: la città, l’oratorio, “mia seconda casa” nell’adolescenza, ed il Seminario di Venegono.
Ordinato sacerdote il 23 dicembre 1950 in forma riservata nella chiesa di S.Bernardino alle Ossa, fu destinato dal card. Schuster all’insegnamento, divenendo la punta teologica della seconda generazione di Venegono. Servì poi l’arcidiocesi come prevosto a Legnano e a S. Andrea in Milano, divenendo poi vicario episcopale per la cultura (1974) e capo della Congregazione del Rito ambrosiano, che disciplina la liturgia milanese. In questa veste curò per i cardinali Colombo e Martini la raccolta dell’opera omnia di S. Ambrogio e la riforma del Breviario Ambrosiano, fino a che nel 1984 S. Giovanni Paolo II non lo elevò alla cattedra di Bologna. Da quel momento in poi tutta l’Italia poté apprezzare la sua parola schietta, anticonformista, che non risparmiava critiche sostanziali a tutti i fenomeni “di moda” (Sessantotto, divorzio, aborto, immigrazione…) nel mondo civile ed ecclesiale. Rimase figura autorevole anche dopo il pensionamento (2002), venendo continuamente interpellato da Papi e confratelli. Nella sua autobiografia (Memorie e digressioni di un italiano cardinale) il card. Biffi dice che non appena depose la carica arcivescovile ricominciò ad utilizzare con gioia i testi liturgici ambrosiani come segno di amore alla patria lontana. Da Bologna nel 2008 non fece mancare un giudizio sferzante sul nuovo Lezionario ambrosiano, secondo Biffi volontariamente difforme dal percorso fino ad allora tracciato dalla riforma liturgica, stravagante, inutilmente campanilista e contraddittorio. Allora le sue critiche furono tacciate quasi di delirio senile e di apologia pro domo sua, avendo collaborato attivamente alla fase precedente della riforma. Oggi vengono invece rivalutate e, dall’Avvento 2014, lentamente applicate.
Il card. Angelo Scola,l’“ambrosiano di ferro” che chiede senza giri di parole ai musulmani residenti a Milano “Può il Dio che tra i Suoi nomi ha“as-Salàm”(la Pace) accettare come atto di culto migliaia di morti ammazzati?”, manda significativamente ai funerali a Bologna mons. Pierantonio Tremolada, omologo del Biffi giovane, e nel suo messaggio scrive:
“La figura del cardinale Giacomo Biffi è cara a tutta l’Arcidiocesi di Milano e a me in particolare per la statura personale ed il penetrante magistero dal quale abbiamo potuto attingere ed imparare molto. Nel suo stile di vita, di esercizio del ministero sacerdotale ed episcopale, e nella sua riflessione dottrinale e culturale, il cardinal Biffi ha incarnato fino in fondo la grande tradizione del prete ambrosiano, capace di approfondire le ragioni della fede e della loro limpida comunicazione all’uomo contemporaneo. Doti che lo hanno reso un punto di riferimento privilegiato per la vita della Chiesa, non solo in Italia. È sempre stata sorprendente la sua capacità di cogliere – con espressioni efficaci, sintetiche ed assai argute – i momenti di cambiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricercare facile consenso e plauso. Dovremo continuare ad attingere alla sua testimonianza e ai suoi scritti, per affrontare questo difficile tempo di passaggio, di cui abbiamo bisogno di prendere più decisa consapevolezza”.
Michele Brambilla