Qualche giorno fa durante la celebrazione della S. Messa, in occasione di un raduno degli alpini di Tovena e della Valmareno sul Passo San Boldo, il celebrante, padre Francesco Rigobello, ha impedito che venisse letta la “Preghiera dell’Alpino” se non nella redazione “aggiornata” così che gli alpini, indispettiti, sono usciti a leggere la loro vecchia versione sul sagrato della chiesa.
Nella versione “edulcorata” introdotta dopo il 1972 la frase originaria «Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana» è stata modificata ad uso del timido popolo di Dio in «Rendi forti i nostri animi di fronte a chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana». Il termine «armi» si è trasformato in «animi» e l’eccessivo «contro» in «di fronte», anche se nel 1972 si era cercato di cassare anche «la nostra millenaria civiltà cristiana» salvata in extremis dall’Ordinario militare nel 2007.
Sul diritto degli alpini di Tovena e della Valmareno di recitare la “vecchia” preghiera nella chiesa da loro costruita possono sorgere dubbi perché tale versione può essere letta solo in occasione dei raduni dell’Associazione alpini: il Vescovo diocesano ha precisato che “gli alpini erano non più del 30-40%” e “l’invito a lasciare la chiesa e la conseguente uscita degli alpini sono avvenuti prima della normale conclusione della S. Messa, con evidente disagio e disorientamento degli altri fedeli presenti.” (Giustamente Monsignore non ha contato nei presenti mogli, figli e parenti degli iscritti all’A.N.A.). Un ulteriore chiarimento giunge da “L’Azione”, il giornale della diocesi di Vittorio Veneto, che suggerisce sulla vicenda di “aprire un confronto a livello di Chiesa italiana” poiché «La Chiesa continuamente aggiorna i propri testi, Bibbia compresa, per offrire a credenti e non credenti testi sempre più aderenti all’originale tradotti con termini contemporanei » (anche se epurare i termini bellici dalle pagine dell’Antico Testamento sarà un lavoro improbo). Padre Rigobello, dal canto suo, evitata ogni polemica, si é limitato a precisare che la modifica è necessaria perché in linea con quanto scritto nel Vangelo.
Qui credo siano necessarie due osservazioni:
1) L’alpino non è nato bellicoso. Quando lo hanno chiamato alle armi ha considerato quell’ordine, soprattutto se aveva già una piccola famiglia, una vera fregatura. I richiami della propaganda sull’amor di Patria non lo commuovevano, non perché non fosse un patriota ma perché la sola Patria che conoscesse erano il campanile del suo paese e l’orizzonte della sua valle, con i ricordi lieti e tristi della gioventù.
Partecipe e vittima delle guerre suscitate dall’ideologia nazionalista si è trovato nella necessità di impugnare le armi a fianco di altri montanari come lui, talvolta del suo stesso paese. Soprattutto nei rovesci della guerra avrebbe potuto fuggire, ma è rimasto al suo posto nel fango e nella neve delle montagne della Grecia, così come nelle sterminate pianure russe, per rispetto verso se stesso e solidarietà con i suoi amici.
Dal sacrificio degli alpini è nata nel tempo la loro leggenda e le vecchie e le nuove generazioni, anche quelle che la guerra non l’anno conosciuta, ne vanno fieri come di un patrimonio di famiglia, una sorta di pietas familare che scaturisce dal loro animo religioso, come la definiva il beato Don Carlo Gnocchi, cappellano militare. Per questo una pastorale con un minimo di buon senso non dovrebbe spogliarli del ricordo dei padri che hanno resistito in armi contro il nemico.
2) Una malattia che affligge il progressismo cattolico è anzitutto un massiccia dose di utopismo. In un mondo in cui si parla ogni giorno di persone decapitate, bruciate, vendute schiave (e ce le fanno anche vedere) si invitano ad uscire di chiesa coloro che, nella loro preghiera, osano pronunciare le parole “armi” e “contro”. Un umorista cattolico, il cardinale Giacomo Biffi, di venerata memoria, aveva già descritto perfettamente questo giro mentale: “Il Regno dei cieli è simile ad un pastore che avendo cento pecore ed avendone perdute novantanove, rimprovera l’ultima pecora per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e, chiuso l’ovile, se ne va all’osteria a parlare di pastorizia” (Il quinto evangelo – Piemme 1994).
La stessa parola pace che sgorga dalle labbra di nostro Signore assume per il progressista cattolico un significato ambiguo prossimo a un disarmo morale e non solo militare.
I cristiani “adulti” non amano la luce sul candelabro. Preferiscono la rassicurante ombra del moggio. Così non si soffre se la luce si spegne.
Francesco, artigliere di montagna.