Annunciato nel mese di maggio dallo stesso card. Angelo Scola, l’8 settembre entra in funzione l’ufficio diocesano per l’accoglienza dei fedeli separati. Avrà competenza su tutte quelle che l’arcivescovo chiama le “famiglie ferite”. Gli interessati potranno fissare degli incontri con consulenti ed esperti familiari, che cercheranno di incamminare la coppia verso soluzioni congruenti con il Credo cattolico.
Il servizio è affidato a don Diego Pirovano, giudice del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo, affiancato da don Luigi Verga, parroco di Bareggio, e da suor Chiara Bina, francescana. Tripartita non solo la direzione, ma anche la dislocazione territoriale: i centri d’ascolto hanno sede a Milano, Lecco e Varese, in modo tale da presidiare le località più significative dell’arcidiocesi dal punto di vista geografico ed essere così più vicini a tutti i fedeli con problemi affini.
I coniugi separati sono “feriti” perché la separazione danneggia, ma non distrugge il legame sacramentale, che rimane in vigore impedendo, per esempio, ai divorziati la Comunione. Questo non vuol dire abbandonarli a loro stessi o emarginarli (quasi un “muro della vergogna”) all’interno delle strutture parrocchiali. Il card. Scola tiene a precisare il punto:
“Conviene ribadire che nella Chiesa i divorziati risposati che intraprendono un percorso di ripresa della vita di fede non devono interpretare l’impossibilità ad accedere alla comunione sacramentale e al Sacramento della riconciliazione come una esclusione dalla comunione ecclesiale”.
L’arcivescovo è inamovibile riguardo al fatto che chi si trova in posizione familiare “irregolare” non possa avere accesso alla Comunione, ma apre alla possibilità che, dopo attento discernimento, alcuni soggetti in tali condizioni possano essere ammessi ad alcuni servizi nella comunità cristiana, o allo stato di padrino/madrina.
“Questa cautela può essere giustamente rimossa nel momento in cui questi fedeli si trovano in un percorso di revisione autentica della propria vita”.
Questa è ritenuta la condizione sine qua non: il fedele in situazione irregolare deve essere impegnato in un serio percorso di conversione, comprensivo del pentimento per il peccato commesso.
Il Sinodo ordinario sulla famiglia si avvicina e ricomincia l’assedio dei media laicisti. Durante le visita pastorale alla parrocchia cittadina di Cristo Re ed alla prepositurale di Cesana Brianza (29-30 agosto) il card. Scola ammonisce i fedeli a privilegiare i canali informativi ecclesiali al posto della stampa laica, sempre più trascinata dalle battaglie ideologiche, che entra di frequente a gamba tesa nelle questioni di Chiesa.
“Basta pensare ai dibattiti sulle questioni scottanti in atto nel nostro Paese: da quella dei divorziati risposati e la loro ammissibilità al sacramento eucaristico, fino all’immigrazione, dalla povertà a un modo di concepire la sessualità. Non viviamo noi di un “imparaticcio”, un’idea rubata qui o là? Fino a che punto andiamo alla radice cristiana, al senso della fede, al pensiero di Gesù, al modo con cui la Chiesa ce lo raccomanda attraverso il magistero, una riflessione adeguata soprattutto nella famiglia?”.
L’espressione “imparaticcio” è tratta direttamente dalla lettura del giorno (I domenica dopo il martirio di S. Giovanni Battista), nella quale Isaia critica il formalismo applicato alla ritualità religiosa:
“Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo”.
Si può leggere un’analoga determinazione nell’arcivescovo, che di fronte alla crescente confusione dei fedeli mette in campo un anno pastorale nel quale l’arcidiocesi “si impegnerà (…) ad approfondire cosa significhi avere i sentimenti e il pensiero di Cristo”. Tornare all’essenziale per comprendere meglio, poi, anche ciò che è complesso.
Michele Brambilla