Alessandro Manzoni (1786-1873), quando cominciò a dedicarsi al romanzo storico, iniziò un fitto lavoro d’archivio, affinché la sua ambientazione fosse il più possibile aderente alla Lombardia del Seicento. Nel Fermo e Lucia (1823), che evolverà nei Promessi sposi, si permise solo un anacronismo, appositamente calibrato. Volle inserire come personaggio il beato Serafino Morazzone (1747-1822), oggetto di una lunga digressione nel cap. I e protagonista del cap. II del tomo III. E’ infatti a Chiuso, la parrocchia del santo curato, che Manzoni sceglie di collocare la visita pastorale del card. Federico Borromeo (arcivescovo di Milano 1595-1631), durante la quale si converte il Conte del Sagrato (poi Innominato). Così onorò una figura che lo affascinava molto.
Con un procedimento analogo, Eugenio Corti (1921-2014) pensò di eternare don Mario Cazzaniga, un sacerdote ambrosiano che vide arrivare come prete novello nella sua Besana Brianza nel 1944. Il giovane entrò così a pieno titolo tra i personaggi del Cavallo rosso, il romanzo che ripercorre la vita di un paese brianzolo lungo i decenni più difficili del Novecento. L’interessato menziona in particolare l’episodio (reale) della conversione di un agit-prop comunista.
“La gente di Besana era terrorizzata dalla sua presenza. Poi si ammalò gravemente e venne ricoverato all’ospedaletto del paese. E siccome l’ospedale è il campo di atterraggio di Dio, quei suoi mesi di degenza ci fornirono il pretesto per cominciare conoscerci. (…) Ed è bellissimo il racconto che fa Corti di questo episodio, e quello che dice del Foresto, “che se ne andò salvato””.
L’ottobre 2015, caratterizzato dal Sinodo dei vescovi, è stato contrassegnato anche da centenari illustri. Tra gli altri, si sono festeggiati i 100 anni anagrafici proprio di don Cazzaniga, che prosegue imperterrito il suo ministero tra le corsie dell’ospedale S. Gerardo di Monza. Il card. Angelo Scola dal Sinodo manda il 16/10 un caloroso messaggio di auguri. L’arcidiocesi di Milano rende omaggio sia alla veneranda età del sacerdote, sia al caso singolare di un “personaggio di carta” realmente esistente e reso caro a tutti proprio dalla sua riproduzione romanzata. Don Mario si meraviglia degli onori tributatigli e risponde con bonomia all’arcivescovo:
“Cento sono troppi: ho 50 anni più 50”.
Don Mario è quindi nato nel 1915, quando l’Italia entrò nella Grande Guerra. La Prima guerra mondiale contribuì in maniera determinante a costruire il mondo che il Cavallo rosso narra. Proprio al “guerrone” del ’15-’18 è dedicata la giornata interdisciplinare del Seminari Arcivescovile (20 ottobre), dal titolo “Voci dall’abisso: la teologia ai tempi del Primo conflitto mondiale”. L’approccio, originale, è quello di mettere tra parentesi tutto quanto si è accumulato sull’argomento “guerra” a partire dalla Seconda guerra mondiale (1939-45), la quale ha, secondo i relatori, oscurato fin troppo il conflitto precedente. Viene in particolare approfondita, senza pregiudizi, ma con vero desiderio di calarsi in quel mondo e di comprendere quella mentalità, la visione dei vescovi e dei teologi del tempo. Le apparizioni di Fatima (1917) erano già state trattate in un convegno analogo nel 2008, durante il quale si constatò con acume che il crollo della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, culto specificamente controrivoluzionario, sia consequenziale al calo di militanza antiliberale ed anticomunista nel mondo cattolico attorno al 1968.
Il card. Scola parla anche lui di comunismo, esprimendo la sua ammirazione per l’esempio di una famiglia rumena raccontato al Sinodo. Nel gelo sovietico quella famiglia cristiana è stata un esempio di “martirio della pazienza”. E’ il tipo di martirio che l’arcivescovo ritiene tocchi alle famiglie cattoliche europee in questo clima ideologicamente ostile.
Una testimonianza, però, nei fatti gioiosa (“Significa, come ci siamo richiamati nella Lettera Pastorale, attraversare ogni situazione certi dell’amore che Gesù ci dona e che Maria Santissima, con i Santi, ci aiutano a vivere, “piegando” a nostro vantaggio anche le situazioni più sfavorevoli. Le relazioni familiari diventeranno così, quasi spontaneamente, trasparenti della bellezza e della speranza che Gesù è venuto a portare nel mondo”), come quella che augura ad un altro centenario illustre, il card. Loris Capovilla, segretario personale di S. Giovanni XXIII. Lo stesso card. Capovilla, mentre nel 2014 il card. Scola, in qualità di metropolita, gli portava la berretta cardinalizia, “spedita” a Sotto il Monte da Papa Francesco per non costringere il 99enne a scendere a Roma, aveva commentato: “tutto è bello e nuovo nel fulgore del Risorto: tutto è grazia“.
Michele Brambilla