Quando apprese dell’esplosione in volo, il 1 febbraio 2003, dello Shuttle Columbia, con 7 astronauti (tra i quali un israeliano), mons. Luigi Giussani sbottò:
“Siamo tutti come Mosè, che aveva accompagnato per centinaia di km i suoi. Noi stessi ogni ora siamo come sul limitare di una terra tanto desiderata quanto irraggiungibile. E per questo la domanda sulla riuscita della vita domina le giornate di chiunque abbia respiro umano. (…) Dio può permettere quello che vuole (è il mistero di Dio, in cui l’uomo non può entrare se Dio non gli apre la porta) e l’uomo che giudicasse Dio, per pura presunzione, compirebbe il vero cataclisma. (…) la vita è giusta perché va misteriosamente, ma sicuramente, verso il suo destino di positività”.
Questo discorso si legge in filigrana nell’omelia del 15 novembre del card. Angelo Scola, proposta alle orecchie dei fedeli la sera in cui in Duomo è presente anche una delegazione di Alleanza Cattolica. E’ la I domenica dell’Avvento ambrosiano, la domenica apocalittica per eccellenza nell’ordinamento del Lezionario, ma anche la prima domenica dopo la terribile strage di Parigi (13 novembre), commessa dall’ISIS. Vi ritroviamo lo stesso sguardo lungo e speranzoso sulla Storia, che parte dalla presenza continua di Cristo risorto. In Lui non c’è solo, nel mistero della croce, la risposta al dolore di queste ore, ma anche una prospettiva buona per tutta la vicenda umana. Nell’Avvento “noi Lo attendiamo come rugiada dall’alto (l’abbiamo appena sentito nel canto Rorate coeli) perché faccia fiorire il deserto della nostra vita e di quella del mondo”.
Correnti di pensiero più devozionali che teologiche girano l’Italia gridando che “i tempi sono vicini” e che ci sia un nesso diretto tra disgrazie contemporanee e Parusia (ritorno di Cristo alla fine del mondo). Ciò obbliga ad approfondire il dettato biblico sui Novissimi. Il Vangelo della I domenica di Avvento stessa (Luca 21, 5-28) precisa che “prima dovranno avvenire tutte queste cose”, ovvero carestie, terremoti, guerre, “ma non sarà subito la fine”. Pertanto non è solo rilanciabile la testimonianza cristiana, ma, anche in una situazione di persecuzione “in medio Oriente ed in Africa” (ma in quelle ore si pensa soprattutto alla Francia), è necessario alimentare “non sentimenti di odio, di vendetta, ma di impegno deciso per la verità dei rapporti tra uomini e popoli, la costruzione di una pace reale della famiglia umana e il risveglio dell’Europa di cui tutti sentiamo il bisogno”. Un’Europa nuovamente cristiana, che faccia perno su Gesù, “il fine e la fine della Storia e del cosmo”, come è stato contemplato giusto la domenica prima nella solennità di Cristo Re.
Il richiamo è soprattutto al Gesù misericordioso ed alla sua opera quotidiana nella comunità dei credenti, che si manifesta nella Confessione e che alberga negli atti di misericordia spirituale. Un Cristo che infonde la grazia già oggi diuturnamente e che si vede nella “confessione” di fede che “deve caratterizzare ogni assemblea ecclesiale, ogni incontro tra cristiani, ogni servizio e iniziativa”.
Viene bandito ogni fatalismo rinunciatario, giustificabile sia con la paura del momento che con un’escatologia troppo letterale. La buona battaglia controrivoluzionaria continua e rimane doverosa. Il card. Scola cita in proposito Henry De Lubac (1896-1991):“si può realizzare una società senza Dio, ma essa sarà inevitabilmente contro l’uomo”.
Il teologo mons. Franco Manzi, docente di esegesi biblica nel Seminario Arcivescovile di Milano, commentando i passi escatologici della I lettera ai Filippesi, avverte che “la benefica tensione spirituale verso il Regno dei cieli non deve portare i cristiani a vivere alienati o da gente rassegnata di fronte alle ingiustizie della terra”. Altrimenti il Cristianesimo si trasformerebbe davvero nell’oppio dei popoli di marxiana memoria, o in una fonte di terrori vani. In At. 1,11 subito dopo l’Ascensione di Cristo due angeli si fanno incontro agli Apostoli, ancora con il naso all’insù, e li scuotono dalla tentazione di rimanere per sempre in quella posizione. Gli Apostoli corsero allora in città e, quando cercavano il Signore, non disdegnavano, fino a che fu possibile, di frequentare il Tempio di Gerusalemme. La testimonianza cristiana si gioca nella comunità ed è all’interno del contesto umano che si dimostra già ora la forza liberante del Cristianesimo.
Michele Brambilla