Essere un buon cattolico in interiore homine, o desiderare la pace nel mondo senza mettere in campo mezzi e persone che siano di aiuto nel raggiungimento dell’obbiettivo, diventa di sua natura sterile. Perché ci sia una reazione concreta e verificabile ai tanti mali della contemporaneità occorre che essa sia “simultaneamente personale e sociale”, nel senso indicato da Alleanza Cattolica quando al motto di S. Ignazio di Loyola, “Ad maiorem Dei gloriam”, aggiunge l’appendice sostanziale “atque socialem”.
Il card. Angelo Scola nell’omelia di Capodanno intende proprio smuovere il corpo sociale milanese. Parla specialmente ai cattolici affinché comprendano di essere portatori di una civiltà originale, che trae origine dal Vangelo, e così facciano fermentare tutta Milano.
“Testimoniare pubblicamente, come cristiani, l’urgenza della pace è già una caparra di questo grande, imprescindibile bene per la vita sociale. Il nostro impegno per la pace in tutte le sue espressioni – dal bisogno di giustizia nelle relazioni che devono essere pacifiche e fare spazio all’altro nel comune tentativo di comprendere ciò che avviene nella storia; dalle relazioni con Dio, con gli altri, con il creato, con noi stessi, al gemito che si alza dai troppi esclusi dalla cultura dello scarto, fino al grido straziante delle vittime delle guerre e del terrorismo e al martirio dei fratelli cristiani (…)–incomincia fissando lo sguardo su Colui che è la nostra pace, con una convinzione che spesso dimentichiamo. Con Cristo il dinamismo della pace è già in atto nella storia”.
Come vuole la tradizione recente, il 1 gennaio, Giornata mondiale della pace, il Duomo di Milano vede le delegazioni delle comunità cristiane acattoliche assistere alla Messa celebrata dall’arcivescovo. Il card. Scola esulta per l’ingresso nel Consiglio delle Chiese di Milano, ovvero il tavolo che permette alle confessioni cristiane presenti a livello cittadino di interagire e dialogare, soprattutto di formazioni bizantine, che chiama suggestivamente “Chiese antico-cristiane” a sottolinearne la provenienza dalla predicazione apostolica. Sono le comunità con le quali la Chiesa cattolica condivide di più a livello liturgico e dogmatico.
Non dimentica, però, gli appuntamenti importanti anche dei protestanti, ed è il primo a ricordare che nel 2017 ricorrerà il quinto centenario delle 95 tesi di Martin Lutero (31 ottobre 1517), un anniversario a cui la galassia luterana vuole dare molto lustro. Tuttavia, l’arcivescovo di Milano non dimentica che fu un episodio storico a dir poco funesto e si augura che
“sia uno stimolo per tutti i cristiani a interrogarsi sul nostro modo di professare l’unica fede in Gesù Cristo. A una Milano che cerca un’anima, a un’Europa che si dibatte in una crisi che sembra insuperabile, noi abbiamo la possibilità di testimoniare, senza nessuna pretesa egemonica, come si può nutrire la speranza e costruire futuro proprio attraverso la rilettura comune delle origini evangeliche di un fenomeno che ci ha segnato in modo doloroso”.
L’Europa ha cominciato ad agonizzare proprio nel 1517. Scavare dentro le comuni radici cristiane del Continente, interrogandosi seriamente sulle origini teologiche del Protestantesimo, significa parlare della bellezza della Cristianità medievale ed individuare assieme i sintomi del tumore rivoluzionario, affinché i cristiani europei tornino ad essere (ed usa proprio un’espressione cara alle battaglie del 2015) “sentinelle capaci di mostrare la gioia e la forza di una vita che ha messo al centro la fede in Gesù Cristo”.
Dallo studio di quella che tutta una scuola di pensiero, che si fa risalire a Joseph De Maistre (1753-1821), considera la prima Rivoluzione scaturirà la consapevolezza della necessità di una Controrivoluzione che tocchi ogni aspetto della società. Con queste parole il card. Scola suona la sveglia del 2016, anno nel quale le battaglie politico-culturali che richiedono l’impegno compatto dei cattolici italiani (si prospetta già a gennaio quella sulle “unioni civili”) di certo non mancheranno.
Michele Brambilla