Tertulliano (II sec. d. C.) constatava: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”. E’ un po’ quello che è capitato in Pakistan, dove l’uccisione, il 5 marzo 2011, di Shahbaz Bhatti, unico ministro cattolico nella Storia del Paese, ha colpito la stessa società civile, rendendola più consapevole del danno arrecato a tutti dal dominio incontrastato sulle masse analfabete dell’integralismo islamico.
E’ quanto racconta mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, la sera del 2 marzo 2016 nel teatro del Centro culturale francescano Rosetum di Milano, attiguo al vasto convento di piazza Velasquez. Il prelato è stato invitato in Italia da Aiuto alla Chiesa che Soffre e da Alleanza Cattolica, che hanno voluto così commemorare il defunto ministro per le minoranze religiose, per il quale, giusto quel giorno, si apre il processo di beatificazione.
La serata è tripartita. Una prima parte è condotta dal direttore di ACS Alessandro Monteduro, che stende una breve panoramica della situazione religiosa del Pakistan e traccia una biografia di Bhatti. Subito dopo viene proiettato un commovente documentario sulla vita del ministro, nel quale interviene come testimone lo stesso mons. Coutts, che assistette ai funerali di Shahbaz e portò in Italia la sua Bibbia personale, da conservarsi nella chiesa di S. Bartolomeo all’Isola Tiberina, dedicata dalla Comunità di S. Egidio al ricordo dei martiri contemporanei. Vescovi, sacerdoti e laici attestano la profonda spiritualità con cui Bhatti compiva il suo dovere di ministro del governo. Essere autenticamente cattolici, senza compromessi, ed essere ministri dello Stato è quindi possibile e può persino diventare una via alla santità. Non senza ironia Monteduro osserva che in Italia abbiamo la situazione opposta a quella del Pakistan: qui le minoranze (anticristiane) soffocano l’opinione della maggioranza.
Mons. Coutts nel suo intervento ricorda che il Pakistan, alla sua fondazione (1947), venne concepito come rifugio dei musulmani indiani, cacciati dalla maggioranza indù, ma senza che l’identità religiosa conducesse all’oppressione delle nuove minoranze (cristiani, indù, sikh). Il proselitismo integralista, proveniente dall’Arabia Saudita, divenne massiccio solo negli anni ’80, all’epoca dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, e si è consolidato con la presenza di Osama Bin Laden e la guerra seguita alle Torri gemelle (2001). La legge sulla blasfemia, contro la quale si batté Shahbaz Bhatti, appartiene anch’essa a quella temperie: bastano semplicemente 2 testimoni per condurre in carcere un poveretto, accusato spesso ingiustamente di aver offeso Maometto o il Corano. A farne le spese sono soprattutto le minoranze religiose e la legge è sfruttata per celare vendette private. I minareti non servono solo a chiamare i musulmani alla preghiera, ma sovente incitano le folle al massacro.
Tuttavia, dopo la morte di Bhatti l’impegno per la difesa delle minoranze si è moltiplicato anche a livello governativo. Persino qualche giudice ha cominciato ad assolvere senza paura i denunciati per blasfemia e nel novembre 2015 la Corte suprema del Pakistan ha riconosciuto che criticare la legge non è una bestemmia.
Mons. Coutts descrive infine i sentimenti dei cristiani pakistani con i versetti di II Corinzi 4, 8-10:
“Siamo tribolati in ogni maniera, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati, colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”.
Questi erano anche i sentimenti di Bhatti, che percepì il desiderio di servire il suo popolo e di assimilarsi a Cristo a 13 anni, non a caso durante la celebrazione del Venerdì Santo.
Michele Brambilla