La politica di per sé è divisiva perché se i contenuti del bene comune sono oggettivi, il modo per realizzarli e le priorità delle diverse componenti del bene di una comunità possono essere legittimamente diversi.
Tuttavia quello che sta accadendo nella vita politica italiana invita a riflettere sulle caratteristiche del nostro tempo. La divisione sembra essere diventata la caratteristica unica del dibattito politico. Mi si dirà che non è una novità, soprattutto in un paese iperpoliticizzato come il nostro, ma è certamente nuova l’assenza di contenuti dentro questo scontro continuo tra fazioni.
Prendiamo lo scontro fra il segretario del Pd e la sua sinistra. D’Alema e Bersani accusano Renzi di stare traghettando il partito verso lidi centristi, imbarcando Alfano e Verdini dopo aver fatto fuori la componente proveniente dal Pci. È l’ultimo disperato tentativo del mondo delle vecchie ideologie di resistere a chi sta costruendo un partito personale, aperto a tutti e a tutto, espressione di quel pragmatismo relativista che dominerà la politica per i prossimi anni e forse decenni. Non ho nessun rimpianto per i comunisti, ovviamente, che hanno lasciato una macchia di sangue colossale nella storia del mondo. Ma sappiamo chi erano e chi sono, mentre del “nuovo che avanza” conosciamo solo le astuzie, le furbizie, ma non abbiamo notizia di idee.
E quando non ci sono idee subentrano l’imposizione, l’occupazione e la spartizione del potere, senza che nessuno capisca a servizio di chi e di che cosa questo potere venga esercitato.
È il potere fine a se stesso, il gusto a volte tragico e a volte comico dell’esercizio del potere. Un fascino pericoloso che, se una volta rischiava di portarci nei gulag o ci toglieva la libertà di espressione nelle scuole e nelle università sessantottine, oggi viene esercitato con astuzia, manipolando il consenso, costruendo una repubblica democratica che toglie spazi e luoghi di libertà in nome dell’antipolitica e di quello che gli italiani desidererebbero, senza peraltro interpellarli.
Espressione autentica di questa dittatura del relativismo è il Movimento 5 Stelle e c’è da avere paura del futuro della nostra libertà se pensiamo che probabilmente il prossimo ballottaggio alle elezioni politiche sarà fra Renzi e un candidato di Grillo e Casaleggio. In attesa di mettere le mani nelle tasche degli italiani, i pentastellati si accontentano di controllare meticolosamente i propri parlamentari, di espellere e cacciare chi non la pensa come chi comanda (ma chi comanda? E soprattutto perché comanda? E che tipo di Italia vorrebbe?).
A destra poi è il disastro. Tutti solo per sé e contro i compagni di strada invece di contrapporsi agli avversari politici. Ma anche qui quello che più sconcerta è che il dibattito non riguarda le diverse visioni dell’Italia, ma semplicemente i nomi dei candidati, i reciproci veti, il solo potere insomma.
È un mondo che muore. Come nella tarda antichità, così come ce l’ha insegnata l’indimenticabile Marta Sordi, la grande docente di storia romana. Ma nel mondo che muore, un nuovo mondo sempre rinasce.
Ma non rinasce da un altro partito, neppure più puro e bello di quelli che stanno morendo o di quelli nuovi che stanno emergendo, anche se non si vogliono fare chiamare partiti.
Come alla fine dell’impero romano, il mondo nuovo nasce da comunità che si organizzano per resistere e combattere per la vita contro la morte e che si estendono progressivamente sul territorio, organizzandosi e dandosi una cultura della polis condivisa.
L’alba verrà, ma soltanto se preceduta da una lunga aurora.
Marco Invernizzi