La mattina del sabato che precede la V domenica di Quaresima, alla presenza del card. Angelo Scola, Milano si riappropria di un santuario che è strettamente legato alle ricorrenze pasquali, ma anche ad alcuni avvenimenti cardine della Storia della città.
Si tratta della cripta della chiesa del S. Sepolcro, sita nell’omonima piazza. L’edificio fu voluto nel 1030 dal nobile Benedetto Rozone, maestro della zecca di Milano, che lo costruì come cappella di famiglia sopra un terreno di sua proprietà. Pochi decenni dopo (1066) il diacono martire S. Arialdo, difensore dell’unità della Chiesa ambrosiana con Roma, vi si rifugiò durante un tumulto aizzato dall’arcivescovo scismatico Guido da Velate (1045-71), che non molte settimane dopo lo fece uccidere. La chiesa cominciò così ad essere assimilata ad un ideale di Cattolicesimo combattivo.
Il pronipote del fondatore della chiesa, che si chiamava anche lui Benedetto, partì per la Prima Crociata dietro all’arcivescovo Anselmo IV da Bovisio (1097-1101) e partecipò alla presa di Gerusalemme. Al ritorno, il 15 luglio, ad un anno esatto dal grande evento, fece riconsacrare il tempio al S. Sepolcro, trasformandolo nel luogo in cui, senza sottoporsi ai pericoli del viaggio, come in altre città della pianura padana (es. il complesso di S. Stefano a Bologna) molti potevano lucrare le medesime indulgenze dei pellegrini. In quell’occasione la cripta assunse l’aspetto attuale e vi fu collocato un sarcofago pieno di terra gerosolimitana, trasportata dai milanesi di ritorno dalla Giudea.
Nel tardo Medioevo un cavaliere prendeva in questa chiesa la lampada che, il Sabato Santo, serviva per accendere il cero pasquale del Duomo. Dal termine dialettale per definire la cripta di S. Sepolcro, “scuroeu”, deriva l’uso di soprannominare “scurolo” tutti i sepolcri in cui il Giovedì Santo è riposto il SS. Sacramento al termine della Messa in Coena Domini. S. Carlo Borromeo rafforzò la centralità della basilica nella devozione popolare incardinandovi gli Oblati dei SS. Ambrogio e Carlo. Suo cugino Federico, nel 1605, istituì proprio in questo luogo la Biblioteca Ambrosiana, cuore pulsante della cultura cattolica cittadina.
Il visitatore che volesse avventurarsi nella cripta di S. Sepolcro impatterebbe subito con la statua orante, a grandezza naturale, di S. Carlo, posta di fronte alla cancellata che custodisce la riproduzione del Sepolcro di Gerusalemme, ma subito dopo lo sguardo si allargherebbe all’intero spazio, scandito da ben 5 navate e da una miriade di colonnine finemente decorate. Tuttavia, la riapertura della cripta non è un semplice tornare ad ammirare un grande esempio di architettura romanica. In quell’edificio Milano, per decenni erroneamente additata da tanti “progressisti” come l’alternativa “dialogante” a Roma, si rivela invece una città orgogliosamente crociata e consapevole che le sue glorie sono coincise con i momenti in cui l’identità ambrosiana è stata maggiormente coniugata con la fedeltà alla Sede di Pietro. Come dice, pensando anche al futuro, il card. Scola all’inaugurazione:
“l’Ambrosiana oggi riapre alla nostra città il suo cuore più antico e più glorioso. Un cuore gravido di promessa in vista del rinascimento della nuova Milano metropolitana, chiamata a svolgere una funzione di stimolo per l’intero continente europeo”.
Le pietre sono infatti in funzione delle persone in carne ed ossa:
“C’è un “restauro/conversione” necessario per diventare sempre più cittadini del mondo, senza chiusure né barriere, senza guerra, nell’armonia e nella pace. Di un tale restauro/conversione questo luogo e questo tempio sono simboli profetici e segni di speranza. Qui s’incontrano, infatti, anche le memorie più intrise di carne e sangue della storia dei popoli abramitici, ebrei, cristiani e musulmani: Gerusalemme e Roma aspirano qui a riconciliarsi in tre cuori”.
L’arcivescovo cita il Salmo 137 per trarne la professione di fede di “una Chiesa indivisa”, che si riabbraccia nel nome dell’unico Signore.
“Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”.
Michele Brambilla