Due europarlamentari lumbard di primo piano hanno rischiato per pochi minuti di essere coinvolti nella strage che ha insanguinato il Martedì Santo di Bruxelles. L’Europa cristiana colpita dal terrorismo islamico nella settimana in cui si china, o dovrebbe chinarsi, davanti al patibolo che le ha dato salvezza. Un patibolo che è inammissibile per gli attentatori musulmani, poiché nell’ottica islamica “il consacrato di Allah” non può perdere, può solo schiacciare gli altri. L’esatto opposto della logica insegnata dal Vangelo del Dio crocifisso, un Dio eloquentemente visibile nel corpo martoriato dei feriti belgi, i quali, forse, in gran parte ne stanno riscoprendo solo ora il nome.
Il card. Angelo Scola dirama subito un comunicato dolente, in cui, riecheggiando parole già pronunciate in altre occasioni, ribadisce che
“lo sgomento è dovuto al ripetersi di questi orrendi e barbarici episodi che ci documentano l’impossibilità di un “rischio zero” a proposito del terrorismo. Tuttavia, questo orribile attentato ci costringe a prendere atto della grande fatica che l’Europa sta facendo: essa domanda unità tra tutti i popoli che la compongono e un impegno educativo. Un lavoro, questo, che ci riguarda tutti, ragazzi, giovani ed adulti affinché il nostro continente ritrovi il senso, il significato e la direzione di un cammino comune”.
E quando parla di impegno educativo, l’arcivescovo ambrosiano intende chiaramente “rieducarsi al pensiero di Cristo”, il titolo della lettera pastorale di settembre.
L’attentato di Bruxelles segna inevitabilmente, dal 22 marzo in poi, le omelie della Settimana Santa. Persino nella Messa crismale, che è una celebrazione rivolta specialmente al clero. Il card. Scola sprona i sacerdoti ad “aiutare il nostro popolo a vincere la paura”, contro la quale i cattolici hanno due armi, “il Crocifisso e i crocifissi nella carne, ovvero i martiri”, ai quali assimila le vittime degli attentati in Europa.
La strage modifica anche il rapporto con l’accoglienza dei migranti, tema caro all’arcivescovo. Subordina infatti l’accoglienza ad una ritrovata unità culturale europea.
“L’Europa è sempre stata caratterizzata dall’accoglienza, ma la sua natura oggi pluriforme domanda un senso dell’unità più profondo a tutti i livelli della vita personale e sociale”, che non può non venire dalle radici cristiane del Continente.
Fa sua quest’ottica Luciano Gualzetti, il nuovo presidente della Caritas Ambrosiana, il primo laico ad assumere quella carica, nominato giusto il giorno della mattanza di Bruxelles.
“Alla paura e al rancore”, che non sono certo sentimenti cristiani, “rispondiamo con le ragioni di un servizio che nasce dal Vangelo” in un’ottica missionaria, come lo stesso Gualzetti ha illustrato nei mesi scorsi presso il padiglione della Caritas all’EXPO e nel progetto Refettorio Ambrosiano.
Michele Brambilla