Chi la dura la vince. Nel giorno anniversario della sua ordinazione episcopale (21 settembre) il card. Angelo Scola corona un sogno che coltivava dall’inizio del ministero a Milano: ricostituire una comunità seminaristica adolescenti stanziale.
Cosa che avviene presso l’oratorio S. Stefano di Parabiago, dove un consistente gruppo di ragazzi di terza media, reduce dal percorso vocazionale rivolto ai bambini delle medie, ha chiesto spontaneamente a genitori e sacerdoti un luogo in cui continuare ad alimentare una spiritualità forte, decisamente orientata al sacerdozio, ma senza estraniarsi dall’ambiente di apostolato. E’ nato così questo esperimento, che conferma ancora una volta quanto gli ambienti non siano affatto indifferenti nel costruire la personalità dell’individuo e dei gruppi.
Proprio per questo il card. Scola pone come tema dell’anno oratoriano 2016-17 “Scegli il bene”: gli ambienti cattolici non devono più fornire una catechesi generica ed autoreferenziale, ma stimolare il discernimento su tutti gli aspetti della vita. Si rivolge specificamente ai preti con meno di 10 anni di Messa, chiedendo loro di allargare lo sguardo oltre il recinto della routine parrocchiale, che normalmente li aspira.
“Sulla scia della tematica della Comunità educante, si deve pensare anche a un annuncio della fede che sappia andare (…) nel mondo della scuola, nel mondo del lavoro, nel mondo della cultura”.
Non solo troppi ragazzi vivono l’oratorio come una parentesi ininfluente sulle scelte della vita quotidiana, ma bisogna pure constatare la tendenza di molti pastori e di molti volontari parrocchiali ad auto-ghettizzarsi dentro un mondo di riferimenti e priorità autoreferenziali, disinteressandosi delle vere problematiche culturali che contaminano la società italiana. Per esempio qualcuno insiste dalla guerra in Iraq (2003) a considerare la bandiera arcobaleno solo un simbolo di pace, continuando ad inserirla nei manifesti o ad appenderla al balcone, incurante del sensibile mutamento di significato.
“Accogliere la chiamata di Gesù, rispondere alla propria vocazione, significa accettare una sfida e scommettere che il punto di vista del Signore è migliore e più fecondo di bene del nostro. Comporta il coraggio di rischiare e l’umiltà di lasciarsi guidare” da 3 maestri: la Scrittura, il Magistero e la realtà.
Tanti nelle nostre comunità ritengono coraggioso adeguare la Chiesa alle tesi mainstream, come se il problema risiedesse nel Magistero e non nella mentalità mondana, e si dichiarano obbedienti ai vescovi solamente se essi paiono assecondare il “progresso”. Il coraggio di cui parla l’arcivescovo è piuttosto rimanere se stessi, lasciare che il lievito del Catechismo, ascoltato con orecchie di figlio, fermenti tutta la pasta dell’esistenza personale e comunitaria.
Tirano la volata nella direzione indicata dal card. Scola i candidati al sacerdozio 2017, che il 1 ottobre riceveranno in Duomo il diaconato. “Come preti desideriamo essere capaci di portare la luce del Crocifisso Risorto anche nei luoghi più bui, nelle periferie più desolate, e testimoniare così l’amore di Cristo che non conosce confini”. Non è solo una citazione quasi letterale del motto scelto dagli ordinandi (“Con amore che non conosce confini”), tratto dalla preghiera eucaristica VI, ma il programma posto davanti ad un’intera generazione di cattolici ambrosiani.
Michele Brambilla