Le cattive interpretazioni di Amoris laetitia hanno innescato, in tutto il mondo occidentale, una nuova fase di discussione sulla teologia del corpo e della famiglia, che passa anche dalla rievocazione, in senso positivo o negativo a seconda dello schieramento, dell’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI.
Il dibattito si riaccende in particolare negli Stati Uniti, dove si trovano ancora teologi, quelli del Wijngards Institute for Catholic Research, che imputano al documento di favorire il sovrappopolamento del pianeta impedendo la contraccezione nei Paesi poveri. A questi teologi, che dimostrano una pervicace sudditanza al neo-malthusianesimo imperante, hanno subito risposto più di 500 colleghi, uniti in un comune appello a difesa dell’enciclica del 1968.
Di questo ritorno di fiamma è arrivato ben poco in Europa, benché i contestatori di Paolo VI rimangano ancora molti, soprattutto nelle aree “storiche” del dissenso (Germania, Austria, Belgio). Tuttavia l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, sente il bisogno di offrire la sua penna in difesa del documento papale, con un intervento davanti all’Istituto Paolo VI di Brescia.
“Molti dei cultori dei nuovi, strabilianti saperi tecno-scientifici parlano di bio-convergenza, praticando una sorta di nuova alleanza tra cosmologia, biologia e intelligenza artificiale che dovrebbe condurre ad andare oltre la specie”, quasi realizzando il “superuomo” di F. Nietzsche (1854-1900). La puntuale analisi dell’arcivescovo conduce a confermare la profezia dell’enciclica a più di 40 anni dalla stesura.
Il card. Scola prende spunto da un biglietto di mons. Carlo Colombo (1909-91), teologo di fiducia di Paolo VI:
“l’enciclica Humanae vitae è stata spesso mal compresa. Affascinati dal problema morale discusso della pillola, veniva invece trascurato, o non sufficientemente sottolineato, l’insegnamento principale dell’enciclica: l’affermazione, cioè, dell’aspetto unitivo e dell’aspetto procreativo dell’unione coniugale nell’atto sessuale”.
Il Sessantotto inaugurò malauguratamente la disgiunzione dei due aspetti, tuttavia il Magistero vigilava ed avrebbe vigilato ancora.
Accanto, infatti, alla sottolineatura del nesso tra procreazione ed atto coniugale, l’altro punto forte è ribadire la continuità di questa posizione nel magistero papale successivo, in particolare con Giovanni Paolo II.
“Ben lo comprese Karol Wojtyla, prima con il memorandum di Cracovia, poi con un significativo articolo pubblicato su Lateranum nel 1978 e, soprattutto, con il magistero e l’azione svolta come Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo, sul matrimonio e sulla famiglia”, portata avanti da Benedetto XVI e Francesco con i medesimi accenti.
Segue un rimprovero alla categoria dei teologi. “Va qui notato che il costante approfondimento delle ragioni degli irrinunciabili pronunciamenti magisteriali fa parte del normale lavoro dei teologi e dei filosofi cristiani”, che non hanno come mestiere quello dei dissidenti per auto-investitura intellettuale. Coloro che bussano alle porte delle facoltà teologiche hanno il desiderio e il diritto di imparare ciò che dice la Chiesa, senza venire scandalizzati dalle opinioni private difformi.
Il card. Scola aggiunge poi un riferimento diretto alla regalità sociale di Cristo, la quale si espande tramite il contributo indispensabile dei credenti. “Testimonianza che sarà necessaria fino alla fine, per estendere nel mondo, per mezzo della Chiesa, il Regno di Dio”.
La nozione di regalità è spesso considerata un retaggio “preconciliare” ed è tutt’ora largamente osteggiata nelle sue implicazioni terrene, tanto che se ne parla quasi solo nell’ambito dell’escatologia, o per sottolineare il paradosso del Re crocifisso, letto esclusivamente secondo la prospettiva dell’umiliazione e non della permanenza di un potere effettivo sul creato, di cui la corona di spine è involontario (per Pilato) segno. E’ quanto mai necessario, invece, riportarla al centro della predicazione ecclesiale.
Michele Brambilla