Il mondo della cultura invita l’arcivescovo di Milano a soffermarsi per due volte sui temi cari a Benedetto XVI.
L’11 ottobre il card. Angelo Scola partecipa, presso il Rosetum di Milano, alla presentazione della biografia del Papa emerito scritta dallo storico Elio Guerrero, il quale prende spunto dalle prime parole pronunciate da Papa Ratzinger (“Non sono che un umile servitore della vigna del Signore”) per trasformarle nella cifra dell’intero pontificato.
Secondo l’arcivescovo ambrosiano il Papa emerito si è messo alla scuola di giganti come Guardini e Newman, da cui ha saputo trarre “il coraggio della fede,che lo sostiene anche nelle decisioni più complicate, e la sapienza evangelica. La rinuncia al Ministero petrino è esempio di tale coraggio, come pure il rimanere a vivere all’interno delle Mura vaticane, perché la sua scelta non potesse essere accolta come un’alternativa al successore”. Il coraggio di Benedetto XVI in ogni fase della sua vita deve essere il coraggio di ogni credente, dal vescovo al laico. “Spesso si perimetra lo spazio occupato e lo si difende accanitamente”, rinchiudendosi in un fortino. La parrocchia-isola felice era quindi già tramontata con Ratzinger, per non dire con il Concilio Vaticano II.
A proposito del concilio, giovedì 13 ottobre Alberto Melloni, autore di punta di quella “Scuola di Bologna” da sempre fautrice dell’ermeneutica della rottura condannata da Benedetto XVI, porta a Milano il suo Atlante storico del Concilio Vaticano II. Durante la conferenza non mancano interventi assai espliciti, come quello di Pino Ruggieri, che dipinge i concili come “unluogo di formazione del consenso” paragonabile ad un parlamento politico.
Il card. Scola non si riconosce, però, in questa caricatura degli eventi storici. “Occorre mettere a fuoco alcune questioni ermeneutiche del Concilio che, a mio avviso, non possiamo dare per definitivamente risolte e che richiedono, da parte di tutti, ulteriore lavoro e dialogo. La recezione del Vaticano II continua e, se non altro, ha ridotto il tasso ideologico di chi pretenderebbe un terzo Concilio, mentre abbiamo ancora tanto da fare sul Secondo: questo è un bene”. La ricezione prosegue ancora oggi senza rinnegare nulla del passato: lo impedisce la successione apostolica.
Un secondo rimprovero, che tocca sia le opere progressiste che le interpretazioni di segno contrario, riguarda proprio il modo di approcciarsi a quel particolare soggetto storico che è il soggetto Chiesa.
“E’ necessario riconoscere che la storia della Chiesa, senza cessare di essere storia in senso rigoroso, possiede per sua natura anche uno status teologico, in quanto, descrivendo il cammino del popolo di Dio attraverso i secoli verso la patria celeste, ha come protagonista il Padre che chiama gli uomini ad esserne co-agonisti. Su tale base numerose controversie ermeneutiche, che vedono storici e teologi accusarsi reciprocamente di letture riduttive o ideologiche, dovrebbero essere lasciate definitivamente da parte”, poiché tutte le ermeneutiche della rottura non sono altro che manipolazioni dei dati storici ai fini della polemica contingente.
Il concilio è stato convocato per la nuova evangelizzazione. “L’ermeneutica della storia conciliare ci dice infatti che fu proprio l’urgenza missionaria ad imporre la domanda: “chi è la Chiesa?” Evento e testi sono semplicemente indisgiungibili”. E’ questo il concilio che bisogna, spesso, ancora applicare.
Michele Brambilla