Con sabato 17 dicembre entreremo nella novena di Natale, la più sentita e solenne dell’anno. Il Rito ambrosiano sviluppa anche questa parte secondo i suoi particolari accenti.
Innanzitutto il criterio cristologico: con il 16 dicembre scade la possibilità di celebrare le memorie dei Santi durante l’Avvento e cominciano le ferie dette “de exceptato”, ovvero “dell’Accolto”, durante le quali è richiesto un raccoglimento ed un ascolto maggiori. Le Lodi impongono la lettura di tutti e 4 i Salmi laudativi proposti nelle festività (148, 149, 150 e 116), mentre nei Vesperi, subito dopo l’inno, si canta il responsorio, un’antifona in 2 battute (solista-assemblea) propria anch’essa dei giorni di festa.
La Chiesa si immedesima completamente nell’antico Israele, di cui assume sia il nome che l’ottica. Il Messia è “il Salvatore e spezzerà il giogo della nostra oppressione” (ant. Ora Sesta I feria). “Io vengo, dice il Signore, a liberare Israele dai suoi peccati” (ant. a Nona I feria). Si insiste molto sulla discendenza davidica di Gesù. “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse. Un virgulto germoglierà dalle sue radici” (responsorio V feria).
Benché non si celebrino le memorie dei Santi, il secondo accento è la continua lode alla Madonna per la sua Divina maternità, la cui festa cade nella VI domenica di Avvento, parte integrante della novena stessa. In genere è l’antifona al Magnificat ad avere un tono mariano, assumendo spesso i toni della supplica confidente, come nella feria IV: “Tu accogliesti l’annunzio gioioso del cielo, e il Santo d’Israele subito in te palpitò. Gli angeli su di lui non osano alzare lo sguardo, i cherubini gli cantano gloria con voce perenne. Pregalo tu che l’hai portato in grembo, perché ci doni misericordia”.
Le orazioni proprie delle Messe mantengono, però, parte degli accenti penitenziali dei giorni precedenti. “Questo sacrificio, o Padre, che è fonte di pienezza di ogni atto di culto, ci porti il tuo totale perdono perché possiamo celebrare con animo rinnovato i primi gesti salvifici di Gesù redentore, che vive e regna nei secoli dei secoli” (orazione sui doni, feria I).
I prefazi delle ferie I e III sembrano persino riprendere il tono apocalittico delle prime settimane di Avvento. Tuttavia esso risuona ora più come una metafora gioiosa che come un monito minaccioso. La lettura dell’ora di Nona del 24 dicembre è non a caso Apocalisse 22,16b-17 (“Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino. Lo Spirito e la sposa dicono: vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!”). Il creato intero si protende verso Betlemme, esprimendo tutta la sua ansia di liberazione.
Il Bambino descrive però perfettamente il modo paradossale di agire da Messia di Gesù. Sembra infatti quanto di meno adatto a fronteggiare il principe di questo mondo e le sue mille lusinghe, di cui nel I sec. a.C. l’Impero pagano, con la sua politica tentacolare ed il volto sanguinario di Ottaviano Augusto, feroce vendicatore dei cesaricidi del 44 a.C., divinizzato dal Senato post obitum, era una chiara esemplificazione. Eppure, allora come oggi, “la nostra redenzione è vicina, l’antica speranza è compiuta, appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi” (prefazio della V domenica di Avvento e della V feria de exceptato).
Come dice il card. Angelo Scola, “la speranza è virtù bambina”. E’ tanto più forte quanto è innocente e fondata sull’Innocente per eccellenza (“mite Agnello redentor…”), ma rimane il contrassegno del cristiano in ogni circostanza della Storia si ritrovi a vivere e santificare con la sua opera. Il Natale ce lo ricorda ogni anno.
Michele Brambilla