“Sono contento di essere qui con voi a dare lode al Signore, per l’anno che si chiude e aprendoci alla sua iniziativa per quello che comincia”. Così esordisce l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, la sera del 31 dicembre nel Pio Albergo Trivulzio, dove è stato invitato a cantare il Te Deum di fine anno. Poche ore dopo l’attentato di Istanbul lo obbligherà a dire, in Duomo, che il terrorismo islamico “segna, purtroppo, anche le prime ore di questo nuovo anno”.
Il 2016 ha consegnato una “situazione assai delicata piena di guerra, di terrorismo, di esclusione, di mancanza di lavoro per i giovani. Abbiamo bisogno di un nuovo ordine mondiale, di una nuova Europa, che la politica ritorni a “un essere presi a servizio“, non solo a parole, ma nei fatti. E questo senza sottovalutare il grande impegno di sacrificio che l’arte della politica richiede”. Tuttavia è stato anche l’anno in cui, il Giubileo, ha visto “l’impressionante numero di persone passate dalle Porte della misericordia, che dice molto dell’urgenza di cambiamento del nostro popolo ambrosiano – più di 1 milione di persone, si stima -, i segnali di ‘rinascimento’ della nostra città; la carità che si moltiplica come risposta a povertà ed esclusioni che pure si moltiplicano anche esse”.
L’occhio torna allora a puntarsi, con riconoscenza, verso il Bambino.
“La Sua nascita, infatti, rende sempre, in ogni situazione, possibile la nostra ri-nascita” perché è Colui che fa nuove tutte le cose. Per spiegare come, l’arcivescovo cita, nel pomeriggio del 1 gennaio in Duomo, il prefazio della Messa di quella festività, la Circoncisione del Signore, in cui si legge, riguardo alla scelta di Cristo di sottoporsi, Lui che non ne aveva alcun bisogno, al rito purificatore ebraico: “affermò così il valore dell’antico precetto, ma al tempo steso rinnovò la natura dell’uomo, liberandola da ogni impaccio e da ogni residuo del peccato. Senza disprezzo per il mondo antico diede principio al nuovo”.
Il card. Scola trova un’analogia tra queste parole e la situazione contemporanea: come ama ripetere spesso, siamo in un “transito d’epoca” in cui i cattolici possono agire significativamente proprio prendendo dalla propria tradizione gli elementi necessari a ricostruire quanto la modernità ha distrutto.
“Il criterio della valorizzazione dell’antico all’interno di una nuova epoca, anche in questo tempo di radicale cambiamento d’epoca, è un bene da perseguire. Questo metodo ci tocca anzitutto di persona e va vissuto a livello delle relazioni costitutive – famiglia, vicinato, comunità ecclesiale, realtà civile – in cui siamo immersi. Per la pace tra i popoli dobbiamo offrire ai potenti di questo mondo un tessuto civile adeguato quale solo uomini di pace sono in grado di tessere pazientemente”.
In fin dei conti era stato così anche la volta prima, nel transito dall’Impero romano alla civiltà cristianizzata del Medioevo. Questo inizio di 2017 riporta quindi, tra le navate del Duomo, quella che è un modo di agire costante della Chiesa, capace, proprio perché figlia di un Dio incarnato e risorto (“Il mistero del Natale è intrecciato, fin dall’inizio, con quello della Pasqua”), di ripartire persino dalle situazioni più critiche.
Michele Brambilla