La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è segnata da due appuntamenti di enorme rilievo. Il primo già martedì 17 gennaio, quando il card. Angelo Scola entra (ed è un evento storico) nella Sinagoga di Milano, in occasione della giornata per il dialogo ebraico-cristiano.
L’arcivescovo richiama un’ardita domanda teologica di Hans Urs von Balthasar: “«Una delle questioni più difficili alla quale forse solo Dio è in grado di rispondere correttamente è quella dello “scisma” originario dell’unico popolo di Dio (poiché non si possono dare due popoli di Dio), provocato da Cristo stesso: Lui ne è responsabile, la Chiesa non dovrebbe far finta di conoscere la soluzione e di poterlo risolvere»”. Gli Ebrei e l’Ecclesia ex gentibusappartengono ad un unico popolo di Dio, diviso dal riconoscimento, o meno, del Messia inviato dal Padre. La soluzione della frattura è demandata allo stesso mistero di Dio ed in questo modo è sottratta alle premure degli uomini, specialmente quelle dettate da pulsioni antisemite ancora serpeggianti i alcuni ambienti.
Ebrei e cattolici, affidando il passato alla misericordia di Dio, possono comunque collaborare nel presente. “Nella nostra Milano, metropoli plurale, la comunità ebraica e quelle cristiane sono, a mio avviso, chiamate ad un compito profetico. Quello di essere un terreno fecondo in cui possa mettere radici e svilupparsi l’incontro e il confronto tra i membri di tutte le religioni”, poiché “il Dio di Abramo è un Dio che si è esposto compromettendosi con la storia”.
La solidarietà tra antico e “nuovo Israello” vale specialmente all’interno del nuovo, diviso dai macro-scismi del 1054 e del 1517. E’ considerevole che siano i protestanti per primi a desiderare che il 500° anniversario della Prima Rivoluzione sia l’incarnazione dell’auspicio di S. Paolo nella II Lettera ai Corinzi: “L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione” (5, 14-20).
E’ quanto sottolinea anche il card. Scola aprendo la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nel tempio protestante di Milano, la sera dopo la visita alla sinagoga. “L’amore di Cristo ci spinge. Queste parole dell’Apostolo, riprese con forza da papa Francesco in Evangelii Gaudium, danno ragione compiuta del nostro convenire questa sera in preghiera. (…) Vogliamo confessare questo amore universale a partire dal riconoscimento del nostro peccato personale e di quello legato alle divisioni che ancora ci accompagnano, in parte, nel nostro tempo. Questo ci rende profondamente realisti di fronte alla storia. Abbiamo costruito muri tra di noi e tra i cristiani e gli uomini”, come hanno riconosciuto giusto in questi giorni gli anglicani pensando alle decapitazioni comminate da Enrico VIII.
La via per riconoscersi fratelli è, anche qui, fare qualcosa di concreto assieme per il bene della città plurale. “Le nostre Comunità, con la loro testimonianza, sono lo spazio umano dell’azione riconciliatrice di Dio. Per essere fedeli a questo compito, le nostre Chiese sono chiamate a vivere in stato di continua riforma, di permanente uscita da sé, con lo sguardo fisso al Redentore e ai bisogni dei nostri fratelli uomini”. Le distinzioni dottrinali rimangono e l’arcivescovo schiva sia la Scilla di chi le ignora che le Cariddi di chi vorrebbe annacquare i punti fermi cattolici, ma addita la carità concreta come metodo puramente evangelico di riavvicinamento alla Verità.