La vittoria elettorale di Donald J. Trump negli Stati Uniti ha portato i suoi avversari ad usare il termine, del tutto ideologico, di “post-verità” per giustificare, in qualche modo, un trionfo inaspettato e, soprattutto, contrastato dall’intera intellighentsia cultural-mediatica.
Come ammette Massimo Bernardini nel dibattito del 28 gennaio con il card. Angelo Scola, presso l’Istituto dei Ciechi di Milano, “è come se non avessimo più il coraggio di parlare di menzogna forse perché la verità ci fa paura e, per questo, le mettiamo un “post” davanti”. Occorre, allora, chiedersi di nuovo cosa sia la verità. L’arcivescovo ambrosiano cita volutamente il santo di cui ricorre, quel giorno, la memoria, nientemeno che S. Tommaso d’Aquino, il quale nella Summa definisce la verità “adaequatio rei et intellectus”, ovvero perfetta corrispondenza tra la realtà concreta e la mia lettura del fenomeno.
Il card. Scola osserva che “la questione della post-verità può costringerci a tornare alla verità. Tutto ruota intorno alla realtà, perché se la manchiamo, negando l’accesso alla verità del fatto, il nostro io viene sempre più messo in difficoltà. Oggi alla parola decisiva “reale”, la grande sconosciuta della nostra epoca, si contrappone la diminuzione della verosimiglianza”. Rievoca un altro grande santo, S. Francesco di Sales, che nella sua instancabile opera di confutazione del Calvinismo via stampa ricordava di “interpretare i fatti sempre in favore del prossimo e nella maniera più benevola”, poiché la Verità, che è Cristo, non ha bisogno di artifici, tantomeno della forza, per imporsi sulla falsità. Non a caso la Rivoluzione ha bisogno di manipolare e distruggere la realtà, oltre che la memoria.
E non è neppure un caso che l’accusa di “post-verità” venga proprio da quegli ambienti che fin dalla nascita piegano i dati alle loro esigenze ideologiche, per di più minacciando di tappare i varchi che lasciano trapelare la verità. Di fronte a fenomeni quali la Brexit o le elezioni americane le elites laiciste hanno invocato una censura selettiva di internet o, addirittura, l’abolizione del suffragio universale.
I new media, meno controllabili da parte delle “centrali” del pensiero unico, hanno vinto e la loro vittoria non si discute. Certamente nella rete circola di tutto, ma il segreto è ancora una volta tornare a formare la persona dell’utente. “Per fare un algoritmo di credibilità serve competenza, certo, ma soprattutto chiedersi chi vuole essere l’io, la persona. Dobbiamo sentire la situazione attuale come una provocazione, non come una catastrofe”. Si lascia schiacciare dagli eventi solo chi non ha un’identità, un io consistente, in grado di porsi nel mondo con un giudizio critico indipendente dai burattinai. Un monito indiretto a tutti i cattolici, coloro che stanno in braccio alla Verità, affinché non abdichino al dovere di testimoniare e difendere, anche pubblicamente, i valori in cui credono.
Michele Brambilla