di Michele Brambilla
La sera del 31 maggio l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, affronta in un pubblico dibattito, presso la Fondazione Corriere della Sera, tutti gli elementi più cari alla sua predicazione, la secolarizzazione, il rapporto con l’Islam e il futuro dell’Europa, presentando la sua ultima fatica letteraria, Post-cristianesimo? Il malessere e la speranza dell’Occidente (Marsilio 2017), di cui la conferenza è una recensione.
Gianni Riotta si complimenta con l’arcivescovo. “Mi sono chiesto perché, in studi recenti di esperti (…) che parlano di crisi del liberalismo e dell’Occidente, non vi sia nessun riferimento alla crisi religiosa. Il saggio del cardinale Scola colma questa lacuna”. Puntualizza che “in Occidente abbiamo una secolarizzazione diffusa, una bulimia religiosa di ispirazione islamica, una iper-religiosità, come in Nordamerica, con i predicatori superstar. Tutto questo nasconde una difficoltà di rapportarsi con il mondo del sacro”, di cui il giornalista non riesce a spiegare l’origine.
La sfida è sostanzialmente ridotta ad un duello tra “martire e kamikaze”. La paura per l’integralismo islamico e per non meglio qualificate “sette” cristiane spinge qualche giornalista laico a rivalutare l’extra Ecclesia nulla salus, se rivolto contro tali nemici. “Mi chiedo perché la Chiesa non sia più netta nel dire che vi è il Cristianesimo, da un lato, e vi sono, dall’altro, sette che propongono ricette fragili”. Bisognerebbe rispondergli ripercorrendo tutto il cammino con il quale la Rivoluzione ha dapprima tolto la parola alla Chiesa nella società e, poi, tentato di demolire la stessa idea di verità.
Il card. Scola parte dalla constatazione che “se c’è una caratteristica che sta emergendo nelle Chiese è la consapevolezza che il martirio faccia parte dell’essenza del Cristianesimo. Un martirio non necessariamente di sangue, ma della pazienza, da vivere nel quotidiano e nella testimonianza”. In un Occidente in cui si è cercato di soffocare la Verità e in cui l’immigrazione obbliga ad affrontare l’aggressività di altri mondi culturali, la riscoperta del vero passa tramite la testimonianza di una vita autentica. “Non vuol dire rinunciare alla dialettica o alla polemica”, ma guardare “all’interlocutore, accogliendolo in anticipo e perdonandolo laddove necessario”. E’ sostanzialmente la “strategia” della misericordia che vediamo in atto in Papa Francesco, che l’arcivescovo cita ripetutamente. “Non si tratta di relativizzare la verità, ma di legare quest’ultima alla libertà, come testimoniano i monaci di Thibirine o le suore di Madre Teresa di Calcutta trucidate in Yemen”.
L’unica speranza dell’Occidente è e rimane il Cristianesimo, che Angelo Panebianco riconosce essere “uno dei segni più potenti che esiste un “minimo comun denominatore” in un Continente che, pure, è cresciuto nella diversità”. L’arcivescovo conferma: “la speranza è determinante e la qualificherei con l’aggettivo bellissimo usato da Benedetto XVI, “affidabile”. Affidabile il Figlio di Dio che si è fatto uno come noi, è morto, innocente, per noi sul palo ignominioso della Croce”. L’Europa lo sa e ne comincia a provare sincera nostalgia. Quegli stessi laicisti che, nel 2004, fecero a gara per espellere le radici cristiane dalla Costituzione europea ora tornano ad invocarle. I martiri sono davvero seme di nuovi cristiani.