Di Michele Brambilla
Mons. Michele Di Tolve, rettore maggiore del Seminario di Venegono Inferiore, cita Papa Francesco (“Le nostre congregazioni non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito, che avrebbero dato il proprio contributo perché la massa crescesse”) di fronte all’ordinazione di solo 9 candidati al sacerdozio (il decimo si è ritirato poche settimane prima). Il fatto che l’anno prossimo pare si risalga a 24 diaconi transeunti non elimina lo choc creato dal numero di sabato 10 giugno, il più basso nella Storia dell’arcidiocesi di Milano dal 1918. All’epoca si veniva dalla Prima guerra mondiale, con i chierici sparpagliati nelle trincee!
Si è soliti dire che la nostra epoca, dal punto di vista vocazionale, non trovi paragoni nei secoli precedenti. In realtà è molto simile agli anni napoleonici, quando fare il prete era fortemente sconsigliato dalla cultura dominante illuminista, che perseguitava il clero regolare e guardava ai parroci solo come “funzionari” sottomettibili allo Stato creando “Chiese nazionali”. Nel 1789 e nel 1799 si sdraiarono sul pavimento del Duomo solo 21 chierici, esattamente come nel 2012. Si arrivò difficilmente alla trentina fin quasi al 1820.
Anche oggi ci troviamo in una situazione in cui la dottrina della Chiesa è ripetutamente calpestata dai governanti e dagli intellettuali. Come allora, è penetrata nello stesso popolo di Dio una visione efficientista del clero, secondo la quale il prete è soprattutto un animatore vestito di nero. Nei libretti che le parrocchie confezionano per la prima Messa, in molti casi mancano riferimenti riguardanti quello che dovrebbe essere lo specifico del prete, ovvero i Sacramenti, la preghiera e la direzione spirituale. Questa mentalità influisce, ovviamente, anche nella valutazione dei seminaristi.
Il card. Angelo Scola, nell’omelia della Messa di ordinazione, invita invece i 9 sacerdoti novelli a “leggere il cammino di questi anni come un ininterrotto dialogo di amore tra Dio che vi precede e vi chiama e la vostra libertà che aderisce a Lui”. E’ a Lui che il prete deve anzitutto guardare, è Lui che chiama per primo ed è sempre Lui che stabilisce i criteri per i Suoi servi, che siano sacerdoti o laici. “Rimanendo fedeli a questo dialogo quotidiano con Gesù mediante l’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio, la recita dell’Ufficio, il silenzio, la preghiera e l’offerta di ogni azione, la vostra vocazione e missione di Presbiteri lascerà trasparire, sul vostro volto, il volto dell’Altro”, contrastando il minimalismo liturgico riscontrabile in molti “preti impegnati”.
“Chiunque vi incontra possa riconoscere, nel vostro stile di vita, uomini solidi, lieti, dentro ogni prova. È questo lo stile che tocca il cuore dell’altro e lo conquista al fascino di Cristo”, non oberarsi di iniziative faticose, che spaventano persino molti ragazzi che vorrebbero entrare in Seminario. La testimonianza viene principalmente dal comportamento personale, dalla corretta celebrazione della liturgia, dal tempo riservato per la preghiera e dalla capacità di ascolto e di accoglienza.
L’arcivescovo ammonisce, con le parole di Papa Francesco, a non concepirsi “all’origine del popolo cristiano” nel senso deteriore del termine, cioè negando ogni autonomia al laicato, ma “solo e sempre come uomini presi a servizio del popolo”, poiché il sacerdozio sacramentale esiste per incrementare le virtù del sacerdozio battesimale che ogni laico cattolico possiede.