Se già il card. Angelo Scola, il 24 aprile 2015, aveva combattuto la congiura del silenzio che soffoca i cristiani perseguitati in terra d’Islam presiedendo personalmente in Duomo la funzione ecumenica commemorativa dei 100 anni del genocidio armeno (1915), in questo 2017, nel quale ricorre il centesimo anniversario sia di Fatima che della Rivoluzione bolscevica, mons. Mario Delpini sfida ulteriormente le amnesie della “memoria collettiva” concedendo la cattedrale dei milanesi per una celebrazione in Rito bizantino in ricordo delle vittime dell’Holodomor, “l’Olocausto ucraino”.
“Holodomor” significa letteralmente “infliggere la morte tramite la fame”. Quando Lenin (1917-24) instaurò il cosiddetto “comunismo di guerra” (1919-22), che comportava violente requisizioni ai danni dei kulaki (“contadini ricchi”), i contadini ucraini, che possedevano le terre più fertili dell’ex-Impero zarista, furono tra i più restii a piegarsi al collettivismo marxista, motivo per cui, a partire dal 1929, furono sottoposti ad una politica di sterminio che comprendeva, in particolare, il razionamento dei viveri destinati alla popolazione. Il culmine si toccò tra il 1932 e il 1933: in 17 mesi morirono tra i 4 e i 12 milioni di ucraini. Stalin (1924-53) riempì poi quelle terre artificialmente spopolate di coloni russi, causa remota dell’attuale crisi del Donbass.
L’Holodomor è ricordato ufficialmente ogni anno dagli ucraini residenti in Italia verso la fine di novembre, ma in una città sempre diversa. Quest’anno è stata scelta Milano, dove gli ucraini sono circa 8000 (22.000 in tutto il territorio dell’arcidiocesi ambrosiana). Il popolo ucraino è particolarmente grato all’arcidiocesi di Milano poiché l’unica voce che nel 1933 si alzò a condannare l’Holodomor fu quella del brianzolo Pio XI (1922-39), che espresse poi un’ulteriore condanna dell’intero sistema sovietico nell’enciclica anticomunista Divini Redemptoris (1937).
Alle 13.00 di domenica 26 novembre, al termine della Messa capitolare della III domenica di Avvento ambrosiana, è il gesuita mons. Cyril Vasil’ a presiedere il rito a nome della Chiesa greco-cattolica di Ucraina, davanti ad un enorme concorso di ucraini, giunti a Milano grazie anche ad un apposito servizio pullman. Una breve processione raggiunge poi la chiesa di S. Stefano Maggiore, sede principale della cappellania dei migranti.
Mons. Delpini raggiunge i fedeli greco-cattolici alle 14.30 per un brevissimo intervento. Parlando al mondo della scuola la domenica precedente (quest’anno in Duomo non vengono convocati i movimenti, ma singole categorie di persone), ha affermato che “il benvenuto al futuro si alimenta della cultura che fa tesoro del passato e si forma alla sapienza: legge gli antichi testi e ne trae spunto per non piegarsi agli idoli del presente; si esercita nel pensiero e si fa forte per resistere alle seduzioni dell’apparenza; impara a praticare le competenze di ogni genere per la passione di rendersi utile in qualche cosa”.
Si comprende allora quanto sia fondamentale purificare la memoria trasmessa dalla scuola di tutte le croste ideologiche che ci ha consegnato il Novecento e che, spesso, macchiano ancora i libri di testo. “Il benvenuto al futuro abita a scuola, se la scuola è all’altezza del suo compito. Benvenuto, futuro: noi siamo cultori di una sapienza che aiuta a sperare” se abbiamo anzitutto il coraggio della verità sul nostro e l’altrui passato.