Il 18 dicembre mons. Mario Delpini dà inizio al processo di canonizzazione di fratel Ettore Boschini (1928-2004). Lo fa in un luogo altamente significativo: il santuario dedicato alla Madonna di Fatima che il servo di Dio ha fatto edificare in Seveso. Una chiesa trasparente che riproduce in tutto e per tutto la cappella delle Apparizioni collocata sul sagrato del santuario portoghese.
L’arcivescovo di Milano sottolinea come la vicenda di fratel Ettore abbia rappresentato una “sveglia” per tutti i milanesi, sulla scorta del messaggio di Cova da Iria. “Al contrario delle favole che aiutano i bimbi a prendere sonno, le storie dei Santi si raccontano agli adulti per farli svegliare, per destare lo stupore, la meraviglia, l’entusiasmo, la sorpresa per quello che Dio può fare servendosi di uomini e donne che sono come noi”.
Ecco allora la necessità non solo di raccontare alle generazioni future il suo esempio, ma anche di stimolare opere di bene. “La dedizione al bene, che non passa oltre se c’è un bisogno, è di tutti. Nonostante il male che si dice del nostro tempo, la storia dei Santi è la storia di ognuno. Dunque, la Causa è un modo per vedere come l’intenzione di Dio di incoraggiarci è resa più affascinante perché uno tra i tanti che fanno il bene viene ricordato come figura esemplare”. Lo stesso Ettore Boschini ebbe bisogno di un volto concreto di Chiesa per recuperare una fede lasciata decadere in gioventù e diventare l’apostolo che abbiamo conosciuto.
“La genialità del santo” è infatti “aprire una strada su cui possiamo incamminarci” nella semplicità della vita quotidiana. La definizione “virtù eroiche” fa pensare, a volte, a qualcosa di straordinario e insormontabile, ma in realtà i Santi canonizzati non hanno mai pensato di essere eroi, compivano il bene perché veniva loro spontaneo e, a volte, credevano persino di essere i peggiori peccatori.
Fratel Ettore unì strettamente preghiera e azione, ammonendo così coloro che distinguono la carità dalla via pulchritudinis della liturgia e, talvolta, dallo stesso uso di ragione. “Nel cuore di ciascuno c’é una naturale inclinazione a fare del bene, ma se non c’è un radicamento nella preghiera, la carità finisce per essere segnata da provvisorietà e da uno stile in cui l’opera diventa più importante della persona”, piegandosi ad una logica da “lotta di classe” marxista.
Questi distinguo sono stati tenacemente propugnati anche da padre Piero Gheddo, quasi coetaneo di fratel Ettore (1929), deceduto la mattina del 20 dicembre. Destinato dai superiori del PIME all’informazione missionaria, divenne spesso promotore di vera contro-cultura nell’Occidente a cui l’ideologia rivoluzionaria stava progressivamente chiudendo occhi ed orecchi. Fu, per esempio, uno dei pochi difensori dei boat-people vietnamiti, che fuggivano dall’avanzata del comunismo (1965-75), poiché per lui la carità materiale non poteva mai essere distinta dal dire la verità opportune et importune.